I siti patrimonio mondiale dell'Unesco della Turchia

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    Efeso

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    Èfeso (greco: Έφεσος, Éphesos; latino: Ephesus) fu una delle più grandi città ioniche in Anatolia, alla foce del fiume Caistro, sulla costa dell'odierna Turchia e città natale dello scrittore Androne di Efeso, autore di un'opera sui Sette savi che pare s'intitolasse Τρίπους. È altresì nota per aver dato i natali ad Eraclito di Efeso, tra i maggiori filosofi presocratici. La città si trovava nell'attuale Turchia approssimativamente fra le città di Smirne e Aydın.
    Fu un importante e ricco centro commerciale e dal 129 a.C. fu la capitale della provincia romana di Asia. Tra le rovine, che ne fanno uno dei più noti siti archeologici del Mar Mediterraneo, sono degne di nota quelle del Teatro, del piccolo tempio di Adriano, della Biblioteca di Celso e dei numerosi stabilimenti di bagni pubblici. Ridotte a una singola colonna sono invece le testimonianze di quello che fu il più celebre monumento di Efeso, e secondo Pausania (4.31.8) il più grande edificio del mondo antico: il tempio di Artemide, una delle Sette meraviglie del mondo, raso definitivamente al suolo nel 401 per ordine di Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli. Efeso è stata la terza città più potente del mondo antico dopo Roma e Alessandria d'Egitto.
     
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    La fortezza di Diyarbakır e il paesaggio culturale dei giardini Hevsel



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    Diyarbakır o Diyarbekir (turco-ottomano Diyar-i Bekr دیاربکر, 'terra dei Banu Bakr'; curdo Amed; siriaco ܐܡܝܕ Āmîḏ; greco Ἄμιδα Amida; armeno Ամիդ Amid) è una città del sudest della Turchia, situata lungo le sponde del fiume Tigri, e capoluogo della provincia omonima.
    È nota principalmente come città di interesse culturale, per il suo ricco folklore e per la produzione di angurie.
    È inoltre una delle città turche a contare la maggior presenza di Curdi, tanto da essere talvolta definita, dai curdi stessi e da alcuni osservatori esterni, come "la capitale del Kurdistan turco". Questa definizione non è comunque ufficiale, né tantomeno accettata dal governo di Ankara. Stando ad uno studio il 72% degli abitanti della città parla curdo (oltre che persiano), e lo utilizza come lingua primaria al posto del turco. Nei pressi della città è inoltre molto sentita la festa del Nawruz, il capodanno curdo festeggiato il 21 marzo.
    La Chiesa di San Ciriaco di Diyarbakır, l'unico luogo di culto della Chiesa apostolica armena in tutta la Turchia asiatica.

    Storia
    Nel 359 era una fortezza frontaliera dell'Impero romano, posta sotto assedio dalle forze dell'Impero persiano dei Sasanidi. In quella estate il Comes la raggiunse alla testa di sei legioni e una vexilatio comitatensis. Malgrado ciò, l'esercito sasanide del re Sapore II vinse la battaglia che si svolse nei suoi pressi e conquistò la città, massacrando la popolazione locale.
     
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    Sito archeologico di Ani

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    Ani (in armeno: Անի, in latino: Abnicum) è una città medievale in rovina situata nella provincia turca di Kars, vicino al confine con l'Armenia. Nel medioevo fu la capitale del regno armeno, che comprendeva la maggior parte dell'attuale Armenia e della Turchia orientale.
    La città è collocata tra le gole del fiume Akhurian ad est e la valle Tzaghkotzadzor ad ovest. Il fiume Akhurian è un affluente del fiume Aras e forma parte del confine tra la Turchia e l'Armenia.
    Chiamata la "Città delle 1001 chiese", la città era al crocevia di diverse strade commerciali e i suoi edifici religiosi, palazzi e fortificazioni erano tra i più avanzati, sia a livello tecnico che artistico, del mondo.
    Nel suo periodo di massimo sviluppo, all'interno delle mura di Ani vivevano tra i 100.000 ed i 200.000 abitanti e la città, nota in tutta la regione per lo splendore e la ricchezza, fu rivale di Costantinopoli, Il Cairo e Baghdad; successivamente fu, però, abbandonata e dimenticata per secoli.

    Storia
    Gli storici armeni menzionano Ani per la prima volta nel V secolo, descrivendola come una fortezza posta sulla cima di una collina e appartenente alla dinastia armena dei Kamsarakan.
    All'inizio del IX secolo i territori dell'Arsharunik e dello Shirak (inclusa Ani) appartenenti ai Kamsarakan furono incorporati nei possedimenti della dinastia armena dei Bagratuni, il cui capo, Ashot Msaker (detto il "Mangiacarne") (806-827), fu insignito dal Califfato nell'804 del titolo di ishkhan (principe) di Armenia.
    La prima capitale dei Bagratidi fu Bagaran, a 40 km a sud di Ani, poi la capitale fu trasferita a Shirakavan, a 25 km a nord-est di Ani, e quindi, nel 929, a Kars. Nel 961 il re Ashot III (953-977) trasferì la capitale ad Ani. La città si espanse rapidamente durante il regno di Smbat II (977-989).
    Nel 992 il Catolicosato armeno fu trasferito ad Ani. All'inizio dell'XI secolo la popolazione di Ani oltrepassava i 100.000 abitanti e la sua fama era tale da essere conosciuta come "la città dalle quaranta porte" e "la città dalle centouno chiese". L'aumento di potere e di ricchezza ne fecero un importante snodo commerciale.
    Ani raggiunse il massimo splendore durante il lungo regno di Gagik I (989-1020). Dopo la sua morte il regno fu diviso tra i due figli: il figlio maggiore, Hovhannes-Smbat (1020-1041), prese possesso di Ani, mentre il figlio minore, Ashot (1020-1040), dominava sulla restante parte del regno Bagratide. Hovhannes Smbat, temendo che l'impero bizantino potesse attaccare il regno ora indebolito, designò suo erede l'imperatore Basilio II. Alla morte di Hovhannes, nel 1041, il successore di Basilio, Michele IV, reclamò la sovranità su Ani. Il nuovo re di Ani, Gagik II (1042-1045) vi si oppose e l'imperatore bizantino mandò il suo esercito a prendere possesso della città. Vi riuscì nel 1045, dopo la cattura di Ashot, e nella città venne insediato un governatore greco.
    Nel 1064 l'esercito turco, guidato dal sultano Alp Arslan, attaccò Ani e dopo un assedio durato 25 giorni prese possesso della città. Nel 1072 la città fu venduta ai Shaddadidi, una dinastia curdo-musulmana, che perseguì una politica di riconciliazione tra la popolazione armena e cristiana. Molti Shaddadidi sposarono appartenenti alla nobiltà Bagratide. Quando il governo dei Shaddadidi divenne troppo intollerante, la popolazione chiamò in aiuto il regno cristiano della Georgia. I georgiani presero possesso di Ani nel 1124, nel 1161 e nel 1174, ma ogni volta la città ritornò ai Shaddadidi.
    Nel 1199 l'esercito della regina Tamara prese possesso della città. Il governatorato fu dato a Zakare e Ivane Mkhargrdzeli, due generali del suo esercito, da cui discese la dinastia dei Zakaridi, che si consideravano gli eredi dei Bagratidi. Presto la prosperità ritornò nella città: furono rafforzati i sistemi difensivi e vennero costruite molte nuove chiese. Il successore di Zakare fu il figlio Shahanshah.
    I Mongoli strinsero d'assedio Ani nel 1226. Nel 1236, mentre Shahanshah era assente, saccheggiarono la città uccidendo gran parte della popolazione. Al suo ritorno gli Zakaridi continuarono a governare la città come vassalli dei Mongoli invece che dei georgiani.
    Durante la dominazione mongola Ani conobbe un periodo di graduale ma irrefrenabile declino. Fino al XIV secolo la città fu dominata da una successione di dinastie turche, come i Jalayridi e i Kara Koyunlu, che ne fecero la loro capitale. Tamerlano prese possesso della città intorno al 1380, ma alla sua morte i Kara Koyunlu ne ripresero il controllo e trasferirono la capitale a Yerevan. I Persiani Safavidi governarono Ani finché essa diventò parte dell'impero Turco-Ottomano nel 1579.
    Fino alla metà del XVII secolo Ani fu una piccola città cinta da mura; poi venne abbandonata del tutto verso la metà del XVIII secolo. Allo spopolamento della città seguì lo spopolamento delle aree rurali circostanti dovuto alla crescente presenza delle tribù nomadi curde.

    Epoca moderna
    Nella prima metà del XIX secolo, i viaggiatori europei scoprirono Ani e pubblicarono descrizioni della città nei giornali accademici e nei racconti di viaggio. Nel 1878 la regione di Kars, inclusa Ani, venne incorporata nel territorio dell'Impero russo. Nel 1892 iniziarono i primi scavi archeologici sponsorizzati dall'Accademia delle Scienze di San Pietroburgo e supervisionati dall'archeologo e orientalista Nikolai Marr (1864-1934). Gli scavi di Marr ripresero nel 1904 e continuarono fino al 1917. estesi settori della città furono scoperti, portando alla luce edifici, e i ritrovamenti furono studiati e pubblicati sui giornali accademici. Vennero scritte guide turistiche sui monumenti e sui musei, e l'intero sito venne per la prima volta ispezionato. Gli edifici maggiormente a rischio di crollo furono sottoposti a restauri di emergenza. Venne fondato un museo per raccogliere le decine di migliaia di reperti trovati durante gli scavi. Il museo fu ospitato in due edifici: nella moschea Minuchihr e in un altro edificio in pietra appositamente costruito a tale scopo.
    Nel 1918, durante gli ultimi episodi della prima guerra mondiale, l'esercito dell'Impero ottomano si fece strada attraverso il territorio dell'appena dichiarata Repubblica Democratica di Armenia conquistando Kars nel mese di aprile. Ad Ani vennero compiuti tentativi di evacuare i reperti contenuti nel museo mentre i soldati turchi si avvicinavano. Circa 6.000 oggetti, tra i più trasportabili, vennero rimossi dall'archeologo Ashkharbek Kalantar, uno dei partecipanti agli scavi condotti da Marr. Su richiesta ufficiale di Joseph Orbeli, i reperti salvati vennero riuniti in un'unica collezione museale; oggi fanno parte della collezione del Museo di Stato di Storia Armena di Erevan.
    Tutto ciò che non poté essere salvato venne perso o distrutto. La resa dell'Impero ottomano alla fine della prima guerra mondiale condusse al ritorno di Ani sotto il controllo armeno, ma una nuova offensiva contro la Repubblica Armena nel 1920 fece sì che la Turchia rientrasse in possesso della città. Nel 1921 la firma del Trattato di Kars formalizzò l'incorporazione del territorio contenente Ani all'interno della Repubblica turca.
    Nel maggio del 1921 l'Assemblea Nazionale Turca ordinò al comandante del Fronte Orientale, Kazım Karabekir, di «spazzare via i monumenti di Ani dalla faccia della terra». Karabekir scrive nelle sue memorie di avere ignorato tale ordine, ma il fatto che ogni traccia degli scavi eseguiti da Marr e dei restauri degli edifici sia stata cancellata suggerisce che l'ordine venne almeno parzialmente eseguito.
     
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    Afrodisia



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    Afrodisia (Aphrodisias) è un'antica città della Caria in Asia Minore (odierna Turchia).
    Si trova su un altopiano, ad un'altitudine di circa 600 m s.l.m., presso la valle del Meandro. La zona fu spesso soggetta ai terremoti.
    L'attuale villaggio di Geyre, nei cui pressi si trova il sito archeologico, si trova nella sottoprefettura di Karacasu e nella prefettura di Aydın (l'antica Tralles), da cui dista circa 100 km, e a circa 230 km da Smirne (Izmir).
    Il 9 luglio 2017 il sito archeologico è stato inserito nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO

    Cenni storici
    Un centro abitato esistette nei pressi della città già in epoca tardo neolitica (agli inizi del VI millennio a.C. e andò formando un "tepe" (Pekméz Tépé), ossia un'elevazione artificiale, cresciuta per il sovrapporsi dei livelli successivi di abitazioni.
    Sull'acropoli della città sono stati rinvenuti i resti di sette successivi strati di abitato, a partire dall'età del bronzo.
    Lo storico bizantino Stefano di Bisanzio ci riporta un precedente nome della città come "Ninoe", che sarebbe derivato dal leggendario re Nino di Babilonia, sposo di Semiramide, ovvero dalla dea Nin, la divinità accadica più tardi identificata con Astarte. Fin da epoca antichissima dovette trattarsi di un luogo di culto della Grande Madre anatolica.
    Il nome di Afrodisia, con cui la città venne conosciuta in epoca ellenistica e romana, deriva dalla dea Afrodite, con cui i Greci identificavano la dea Astarte.
    Le prime notizie storiche risalgono alle monete cittadine coniate in bronzo e in argento nel II secolo a.C. Secondo lo storico Appiano di Alessandria, a seguito di un responso dell'oracolo di Apollo a Delfi, Silla inviò nell'82 a.C. al santuario di Afrodite una corona e una doppia ascia d'oro, che furono più tardi raffigurate sulle emissioni monetali.
    Lo sviluppo della città si ebbe soprattutto in epoca imperiale romana: per la sua fedeltà ad Ottaviano nelle guerre civili che lo portarono al potere come Augusto, le fu riconosciuta l'autonomia (continuamente contestata dalle altre città e dallo stesso governatore, costringendo la città a pagare ogni volta onerose ambascerie per appellarsi all'imperatore affinché venisse confermato lo status), confermata più tardi da Tiberio, e vennero edificati importanti monumenti pubblici. Per tutto l'impero romano rimase centro importante, sia per la presenza del santuario che come centro di produzione artistica legato alle vicine cave di marmo (scuola di Afrodisia). Fu inoltre un reputato centro culturale e vi nacque il filosofo Alessandro di Afrodisia. Nativo della città fu anche lo scrittore greco Caritone.
    A causa di un terremoto alla metà del IV secolo, che provocò un mutamento nel regime delle acque, parte della città divenne soggetta a periodiche alluvioni, come mostra il ritrovamento di condutture provvisorie installate per tentare di risolvere il problema.
    Con la diffusione del cristianesimo divenne sede dell'arcivescovo metropolita della Caria e l'antico santuario di Afrodite fu trasformato in chiesa cattedrale (fine del V secolo). Il nome della città venne cambiato in Stauropolis ("città della croce"). In epoca bizantina prese infine il nome di Caria, dalla regione amministrativa di cui era capoluogo.
    Nel 640, durante il regno dell'imperatore bizantino Eraclio la città subì un ulteriore rovinoso terremoto e perdette gran parte della sua importanza. Altri danni subì per le guerre sotto il dominio dei Selgiuchidi tra l'XI e il XIII secolo e venne infine abbandonata nel XIV secolo. Sulle antiche rovine si insediò un villaggio turco che mantenne l'antico nome bizantino della città, trasformandolo da "Caria" in "Geyre".
    Ritrovamento dei resti archeologici[modifica | modifica wikitesto]
    Le rovine della città furono visitate nel XVIII secolo e ancora nel 1835 da Charles Texier, che ne diede una prima descrizione, e nel 1849 da Osman Hamdi Bey, all'epoca direttore del Museo archeologico di Istanbul. I primi scavi parziali si ebbero nel 1904, con Paul Gaudin (terme di Adriano) e nel 1937 con Giulio Iacopi (nell'agorà).
    Dopo il terremoto del 1956 le case del villaggio, andate quasi interamente distrutte, furono ricostruite a breve distanza dai resti della città antica, permettendo in tal modo nel 1961 l'avvio di scavi archeologici sistematici, ad opera di Kenan Tevfik Erim dell'Università di New York (che diresse lo scavo dagli inizi fino al 1990), e sono tuttora in corso. Sul sito è stato quindi fondato un museo archeologico (Museo di Afrodisia)

    La città antica

    Statua dedicata a Valentiniano II dal prefetto Flavio Eutolmio Taziano, ritrovata presso le terme di Adriano.
    La città si sviluppò a partire da insediamenti preistorici che si erano stabiliti sulla collina dell'acropoli e presso il settore nord della città, dove più tardi sorse il tempio di Afrodite. Un abitato preistorico con tracce di frequentazione fino all'epoca ellenistica sorse anche sulla vicina altura di "Pekmez Tepe". Nel tardo periodo ellenistico lo sviluppo urbano avvenne invece nella zona intorno all'agorà. In epoca romana la città si sviluppò intorno a questi nuclei abitati.
    La città, a causa del suo sviluppo graduale, non ebbe una pianta pianificata e regolare e i principali monumenti sorsero via via dove se ne presentava l'opportunità e l'occasione.
    Il tempio di Afrodite[modifica | modifica wikitesto]
    Il tempio venne costruito nel corso del I secolo a.C., su un più antico luogo di culto dedicato alla dea Afrodite. Il temenos (recinto sacro) venne completato solo nel II secolo sotto l'imperatore Adriano. Alcune tracce di mosaici ellenistici hanno tuttavia fatto ipotizzare la presenza di un edificio templare precedente a quello di epoca romana.
    Il tempio aveva otto colonne in facciata ("ottastilo") e tredici sui lati lunghi ed era di ordine ionico. Su alcuni fusti delle colonne sono ancora iscritti i nomi dei donatori che offrirono il denaro per la loro erezione al momento della costruzione dell'edificio.
    La statua di culto del tempio è stata identificata con una statua rinvenuta nei pressi all'inizio degli scavi, nella quale Afrodite è raffigurata in modo molto simile all'Artemide del santuario di Efeso.
    Alla fine del V secolo, per la trasformazione in chiesa, furono eliminati i muri della cella e le colonne della peristasi (il colonnato che circonda la cella) furono spostate per ingrandire l'edificio. Furono inoltre costruiti nuovi muri sui lati corti, che costituirono l'abside e la facciata della chiesa. Successivamente venne aggiunto un atrio di ingresso. Nell'abside sono conservati resti di !affreschi dell'XI e XII secolo.

    Il tetrapilo
    Un tetrapilo (tetrapylon, quattro gruppi di quattro colonne disposte in quadrato) venne costruito nel II secolo come passaggio monumentale su una delle vie cittadine, forse come propileo di ingresso verso il tempio di Afrodite.
    Sui due lati principali, le due coppie di colonne della facciata, con fusti scanalati a spirale, sono sormontate da frontoni spezzati, mentre le colonne centrali della fila più interna sono collegate da frontoni semicircolari con rilievi. Il tetrapilo, distrutto dai terremoti, è stato rimontato con i frammenti ritrovati negli scavi nel 1990.
     
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    Göbekli Tepe

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    Göbekli Tepe (trad. collina tondeggiante in turco, Portasar in armeno, Girê Navokê in curdo) è un sito archeologico, situato a circa 18 km a nordest dalla città di Şanlıurfa nell'odierna Turchia, presso il confine con la Siria, risalente all'inizio del Neolitico, (Neolitico preceramico A) o alla fine del Mesolitico.
    Vi è stato rinvenuto il più antico esempio di tempio in pietra: iniziato attorno al 9500 a.C. la sua erezione dovette interessare centinaia di uomini nell'arco di tre o cinque secoli. Le più antiche testimonianze architettoniche note in precedenza erano le ziqqurat sumere, datate 5000 anni più tardi.
    Intorno all'8000 a.C. il sito venne deliberatamente abbandonato e volontariamente seppellito con terra portata dall'uomo.
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    Collina di Arslantepe

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    Arslantepe, la "collina dei leoni", sorge nel villaggio di Orduzu, nella piana di Malatya in Anatolia Orientale, un'oasi nella catena dell'Antitauro, a circa 15 chilometri dalla riva destra dell'Eufrate e a 6 chilometri dalla città moderna di Malatya.

    Il sito di Arslantepe è un tell, ossia collina artificiale nata per il sovrapporsi di abitati ricostruiti sempre nello stesso punto per millenni; esso è stato occupato ininterrottamente a partire almeno dal V millennio a.C. fino all'età romana e bizantina.

    Ad Arslantepe, i primi scavi furono condotti dall'archeologo francese L. Delaporte tra il 1932 e il 1939. Dopo il secondo conflitto mondiale le indagini furono riprese brevemente da Claude F. A. Schaeffer. A partire dal 1961 la Missione Archeologica Italiana in Anatolia Orientale ha condotto sistematiche campagne di scavo prima sotto la guida congiunta del Prof. Meriggi (Università di Pavia) e del Prof. Salvatore Maria Puglisi (Sapienza Università di Roma), successivamente solo di quest'ultimo, quindi della Prof. Alba Palmieri (Sapienza Università di Roma) e dal 1990 della Prof. Marcella Frangipane (Sapienza Università di Roma).

    Imponente è la scoperta di un complesso palatino datato alla fine del IV millennio a.C. Unico nel suo genere, esso si caratterizza per la presenza di almeno due aree templari, magazzini, dipinti e per il ritrovamento di quelle che sono considerate le più antiche spade mai ritrovate al mondo.

    Questo insediamento (Arslantepe IVa) era presumibilmente la più settentrionale (e militarmente protetta) colonia di Uruk, che da lì a poco fu conquistata e distrutta e ricostruita da una popolazione caucasica, che ne fece la capitale di un dominio personale.
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    Gordio



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    Gordio (in greco Γόρδιον?, Górdion; in turco Gordiyon), l'odierna Yassıhüyük, dalla seconda metà dell'VIII secolo a.C. fino all'invasione dei Cimmeri, era l'antica capitale della Frigia. Si trova a circa 70–80 km a sud-ovest di Ankara, nelle immediate vicinanze del distretto di Polatlı, nella provincia turca di Ankara, alla confluenza dei fiumi Sakarya e Porsuk gli ha dato una posizione strategica con il controllo su terreni fertili.
    A Gordio si svolse il famoso episodio del nodo, detto "nodo gordiano", reciso da Alessandro Magno con la spada.
    Gordio si trova dove l'antica strada tra Lidia e Assiria/Babilonia attraversava il fiume Sangario. L'occupazione del sito è attestata dalla prima età del bronzo (2.300 a.C. circa) ininterrottamente fino al IV secolo d.C. e di nuovo nel XIII e XIV secolo d.C. Il tumulo della cittadella a Gordio ha una dimensione di circa 13,5 ettari e alla sua altezza l'abitazione si estendeva oltre questo in un'area di circa 100 ettari. Gordio è il sito tipo della civiltà frigia e il suo livello di distruzione ben conservato di ca. 800 a.C. è un fulcro cronologico della regione. La lunga tradizione dei tumuli nel sito è un importante record di monumentalità d'élite e pratica di sepoltura durante l'età del ferro.

    Dalla metà del III secolo a.C. la città fu abitata dai Galati; abbandonata nel 189 a.C. per incursione romana, divenne da allora un villaggio di scarsa importanza.
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    Moschee ipostile in legno dell'Anatolia medievale



    1920px-Afyonkarahisar_Ulu_Cami



    Le moschee ipostile in legno dell'Anatolia medievale (in turco Anadolu'nun Orta Çağ Dönemi Ahşap Hipostil Camileri) sono un sito patrimonio dell'umanità costituito da cinque moschee selgiuchidi in Anatolia risalenti al periodo tra la fine del XIII e la metà del XIV secolo.
    La Grande Moschea di Afyon, la moschea di Aslanhane, la Moschea Eşrefoğlu, la moschea di Mahmut Bey e la Grande Moschea di Sivrihisar sono state incluse nell'elenco provvisorio dei siti del patrimonio mondiale nel 2018 con il nome "Moschee con tetto in legno e colonne in legno in Anatolia". Il 19 settembre 2023 la serie è stata iscritta nella lista dei patrimoni dell'umanità quando l'UNESCO ha riconosciuto le moschee per i loro eccezionali valori universali.
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