[SCHEDA] Pëtr Il'ič Čajkovskij

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    13 августа 2013

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    Paese: 20px-Flag_of_Russia.svg Russia
    Vita: 1840-1893
    Genere: compositore classico, romanticismo

    Biografia:
    Considerato oggi come uno dei più grandi musicisti russi e fra i più significativi nella storia musicale (oltre che eseguiti), Čajkovskij nacque a Kamsko-Votkinsk, Russia, da un ingegnere minerario ucraino e dalla sua seconda moglie, Aleksandra Andreevna d'Assier, una donna di nobili origini francesi, ma nata a San Pietroburgo nel 1812. Le ascendenze complessive del futuro musicista mescolavano anche sangue polacco, cosacco e tedesco. Terzo di sette figli della coppia: Ekaterina, primogenita, nata nel 1836 ma morta nei primi anni di vita; Nikolaj, 1838 e – dopo il musicista – l'amatissima sorella Aleksandra, 1842, quindi Ippolit, 1843 ed infine i due gemelli, Modest (suo futuro primo biografo) e Anatolij, 1850. Esisteva, al vero, anche una sorellastra, Zinaida, nata nel 1829, che il padre aveva avuto da un primo matrimonio (il padre del musicista si sposò ben tre volte nel corso della propria vita).
    Questa sorellastra ebbe un ruolo "negativo" nella fanciullezza di Čajkovskij, come attestano diverse biografie tra cui quelle di Nina Nikolaevna Berberova e Hofmann.
    Il legame coi fratelli fu sempre molto intenso specie con Aleksandra e Modest.
    Iniziò a prendere lezioni di pianoforte all'età di cinque anni (dopo un primo intervento materno), da una serva liberata, Marja Markovna Palčikova.
    Fu in questo periodo che la forte inclinazione e sensibilità musicale si manifestò, tanto da preoccupare l'istitutrice Fanny Dürbach come lei stessa raccontò poi al fratello Modest. Gli studi musicali proseguono nel 1848 con il pianista Filippov.
    Nel 1850 assiste con la madre per la prima volta ad un'opera lirica: Una vita per lo Zar di Michail Ivanovič Glinka. Quest'opera e il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart costituiranno sempre una pietra di paragone per il compositore.
    Nel 1850 supera l'esame per l'ammissione alla Scuola di Giurisprudenza di San Pietroburgo che frequentò per i successivi nove anni, un destino, quello di burocrate, notevolmente diffuso nel ceto al quale Čajkovskij apparteneva (anche i suoi due fratelli gemelli compirono eguali studi).
    Nella Scuola di Giurisprudenza ottenne risultati mediocri, ma strinse amicizie che si prolungarono per tutta l'esistenza, scoprendo anche debolezze umane quali quella per il fumo ed il bere (fu sempre un accanito fumatore ed amante dell'alcool).
    In questo ambiente si realizzarono per Čajkovskij anche le prime esperienze omosessuali.
    Una conoscenza speciale avvenne con il futuro poeta Aleksej Nikolaevič Apuchtin che ebbe su di lui un forte influsso personale come è raccontato, per esempio, dalla Berberova nel suo libro. Molte di queste amicizie, indipendentemente dalla componente amorosa, furono importanti per Čajkovskij e in esse trovò sostegno e riferimento. Durante gli anni alla Scuola di Giurisprudenza Pëtr Il'ič, ebbe ampio modo di frequentare tanto il teatro d'opera e di prosa quanto il balletto, con le sue celebrate stelle, cosa che gli sarebbe diventata in futuro utile. Nella Scuola stessa prese lezioni di canto corale (possedeva una bella voce di soprano ossia voce bianca) e ricominciò lo studio del pianoforte con il famoso costruttore di strumenti Becker.
    A sedici anni ascolta per la prima volta il Don Giovanni di Mozart: è un colpo di fulmine, un'assoluta rivelazione del proprio destino per la musica: «A Mozart sono debitore della mia vita dedicata alla musica».Scrive anche in uno stesso articolo critico-musicale:
    « La musica di Don Giovanni è stata la prima musica ad avere su di me un effetto realmente sconvolgente. Mi ha condotto in un mondo di bellezza artistica dove dimorano solo i geni più grandi »
    (Čajkovskij, cit. in A. Orlova, op. cit., p. 7)

    E sul Requiem del salisburghese non aveva dubbi:
    « Uno dei lavori d'arte più divini al punto che non si può non avere pietà di coloro che non sono in grado di comprenderlo ed apprezzarlo »
    (Čajkovskij, cit. in F. Tammaro, op. cit., p. 272)

    Altri studi pianistici seguiranno alla conclusione della frequenza della Scuola di Giurisprudenza nel 1859 e al conseguente impiego al Ministero della Giustizia (due cose alle quali Čajkovskij dava scarsa rilevanza, sebbene fosse uscito dalla Scuola come uno dei migliori del proprio anno): essi saranno appresi per tre anni (siamo nel 1855) attraverso un celebre maestro dell'epoca, Rudolf Vasilevič Küdinger (1832-1913).
    Quel tempo (ultimo anno della Scuola di Giurisprudenza) fu per Čajkovskij ricco ed appagante sotto l'aspetto di vita di società, ove riscuoteva non marginali successi[10], anche nel campo femminile, riuscendo simpatico a tutti («un giovanotto proprio per bene», scrive la Berberova).

    Ma una tragica circostanza, dalle conseguenze incalcolabili, era avvenuta nel giugno del 1854: l'adorata madre era morta a seguito di un'epidemia di colera e anche il padre, il giorno dopo il funerale, si era sentito male, riuscendo a scampare alla morte. Lo stesso musicista scriverà nel 1878: «Ogni momento di quel giorno spaventoso è vivido in me come fosse ieri».[11] È singolare che il compositore russo concluda la propria esistenza a causa dello stesso male (se si accetta la versione ufficiale della sua morte, vedi oltre), anche se a quel tempo il colera era "di casa" in Russia.

    Lo stesso anno 1854 vede la prima composizione che il musicista considerasse degna di essere conservata. Anastasie-Valse, dedicata alla governante Anastasija Petrovna (pubblicata nel 1913). Una canzoncina infantile era stata "composta" a orecchio La nostra mamma a Pietroburgo già nel 1844[12] e sempre in anni vicini al 1854 fantastica più che altro su un'opera teatrale.[13]
    Le prime composizioni

    Čajkovskij fu per tutta la vita un viaggiatore instancabile (circa 150 luoghi). Nel 1861 compie il primo viaggio estivo all'estero, visitando Germania, Belgio, Parigi e Londra, frequentando opere e concerti.
    Gli studi musicali post-diploma proseguiranno mentre era in forza al Ministero della Giustizia (dove lavorò con una certa trascuratezza per tre anni, cosa che gli permetteva del resto di far vita mondana, come ricorda il fratello Modest), ma successivamente al ritorno dal suddetto viaggio, pur riprendendo il lavoro al Ministero si dedicherà maggiormente alla musica, tralasciando i diversivi.
    Anteriormente al 1859 in Russia non solo non esistevano scuole ufficiali per l'insegnamento musicale, ma anche lo "status" di musicista era negato. Un giovane dell'aristocrazia doveva frequentare l'opera, conoscere la musica e magari saper suonare e addirittura comporre qualche cosa, ma un gentiluomo che abbracciasse la musica come professione era una cosa da non prendersi nemmeno in considerazione. La maggior parte degli artisti e della musica eseguita era straniera. Gli italiani vi imperavano pur esistendo del resto una tradizione musicale, seppur più propriamente popolare e religiosa.
    Fu merito del musicista Anton Grigorevič Rubinštejn (1829-1894) e del mecenatismo della granduchessa Elena Pavlovna (zia dello zar Alessandro II Romanov) fondare (1859) la cosiddetta Società Musicale Russa, poi trasformata, nel 1862, in Conservatorio diretto dallo stesso Rubinštejn, con autorevoli docenti. Sulla scia di tale avvenimento nel 1866 fu aperto un Conservatorio anche a Mosca, fondato e diretto dal fratello di Anton Rubinštejn, Nikolaj.
    Va segnalato che sempre nel 1862 a Pietroburgo si iniziarono i corsi della Scuola Musicale Gratuita, rappresentante la corrente radicale e progressista della musica russa, che si opponeva all'accademismo di derivazione tedesca dominante nei Conservatori dei Rubinštejn, sotto la guida di Milij Alekseevič Balakirev (1837-1910) e in essa si formò il famoso Gruppo dei Cinque.
    Docente di teoria musicale nel Conservatorio di San Pietroburgo era un musicista minore, Nikolaj Ivanovič Zaremba (1821-1879): Čajkovskij divenne suo allievo e studiò composizione con Anton G. Rubinštejn, abbandonando l'impiego statale nel 1863. In quegli anni compose svariati pezzi minori, romanze per canto e pianoforte, pezzi per pianoforte solo e un coro Prima del sonno (in origine a cappella poi rielaborato con l'aggiunta dell'orchestra), un pezzo per archi in Sol maggiore Allegro ma non tanto.
    Nel 1864 scrive L'uragano: un'ouverture in Mi minore, op. 76 postuma, dal dramma omonimo di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij. Dirige pure l'orchestra del Conservatorio nel 1865 nella sua nuova ouverture in Fa maggiore per piccola orchestra (prima versione). La direzione orchestrale sarà per Čajkovskij sempre un grande problema dato il carattere timido, ma nel tempo e con la maturità egli divenne un applaudito interprete non solo della propria musica e anche all'estero.
    Prima ancora del diploma gli venne offerto da Nikolaj G. Rubinštejn su suggerimento del proprio fratello, di trasferirsi a Mosca, per insegnare teoria nel nuovo Conservatorio di colà. Nel 1866 terminò gli studi al Conservatorio di San Pietroburgo iniziati nel 1861, diplomandosi con una composizione Alla gioia, per soli, coro ed orchestra, tratta da un testo di Schiller, tema obbligato in quella circostanza (lo stesso usato da Ludwig van Beethoven nel finale della Sinfonia n.9). In quell'anno fu nominato professore di teoria e armonia mantenendo quella posizione fino al settembre del 1878.
    Nel 1866 compone, non senza incertezze, la Sinfonia n.1 in Sol minore, op. 13, sottotitolata Sogni d'inverno, che verrà rielaborata più volte (una pratica abbastanza usuale nel musicista). Si tratta di una composizione giovanile, ma con tratti distintivi già presenti. L'anno seguente è la volta della prima opera lirica portata a reale compimento: Voevoda (Il voivoda) dal dramma di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij.
    L'opera ebbe quattro repliche e successo ma non fu più ripresa e l'autore distrusse la partitura, sebbene alcune parti siano finite nella successiva opera lirica Opričnik (L'ufficiale della guardia) e nel balletto Il lago dei cigni (essa venne comunque ricostruita sui materiali d'orchestra e ripresentata nel 1949).
    La forte spinta autocritica di Čajkovskij va qui evidenziata, tanto nella suddetta prassi di rielaborare proprie composizioni, quanto nelle azioni più drastiche, come la distruzione, sebbene spesso venissero salvate parti che venivano trasferite opportunamente in altri lavori.
    È di quegli anni l'avvicinamento, prudente, al Gruppo dei Cinque anche se le simpatie verso i musicisti che componevano il gruppo furono diverse, con aperta ostilità in particolare verso Modest Petrovič Musorgskij.
    L'anno 1868 segna nella vita del musicista l'episodio sentimentale con la cantante belga Désirée Artôt: si parlerà per giunta di matrimonio. La cantante finì invece sposa di un celebre baritono spagnolo, ma restò amica di Čajkovskij, con cui mantenne una corrispondenza ed ebbe successivi incontri (il musicista scriverà musica sotto l'influsso di questo amore platonico e - più tardi - dedicò alla signora le Six Mélodies, op. 65, del 1888).
    Gradatamente si intensifica il lavoro compositivo, per il quale alla fine opterà, come si è visto, abbandonando l'insegnamento e dedicandosi alla critica musicale.
    L'ouverture-fantasia Romeo e Giulietta del 1869, ma rivista nel 1880, è uno dei prodotti migliori tanto per la forma che per contenuti (il musicista non ha ancora trent'anni del resto) ed in essa, come sempre ma qui particolarmente, Čajkovskij farà confluire il "programma" di ispirazione letteraria, William Shakespeare, con le proprie intime spinte emotive, a detta di molti biografi, su un amore "proibito" di quel momento verso un allievo del Conservatorio, Eduard Zak. La vicenda ebbe successivamente alla composizione, esattamente nel 1873, un finale tragico, in quanto il giovane si tolse la vita a diciannove anni.
    Una nuova opera lirica (dopo due tentativi abbandonati) vede la luce tra il 1870 e il 1872, Opričnik (L'ufficiale della guardia) ed un'altra ancora poco più tardi, nel 1874: Kuznec Vakula (Il fabbro Vakula), rielaborata, quest'ultima, sotto il titolo Čerevički (Gli stivaletti) nel 1885. Come si vede l'attrazione verso la musica lirica teatrale fu sempre notevole nel musicista, anche se nel genere i titoli chiave saranno Evgenij Onegin (Eugenio Onieghin) e Pikovaja dama (La dama di picche). Una gran parte della critica musicale ritiene del resto che il migliore Čajkovskij stia proprio nel settore teatro musicale e nelle ultime tre sinfonie nonché nel balletto.
    Due nuove sinfonie si aggiungono: la cosiddetta Piccola Russia in Do minore, op. 17, 1872 (poi rivista) e la Polacca in Re maggiore, op. 29, 1875. Inoltre il musicista si dedica alla cameristica con tre quartetti per archi, l'op. 11 in Re maggiore, 1871 e che riscuote il consenso di un illustre ascoltatore, Lev Tolstoj, l'op. 22 in Fa maggiore, 1874 e l'op. 30 in Mi bemolle minore, 1876.
    Tra il 1874 e il 1875 si realizza quello che diventerà uno dei pezzi più celebri dell'autore, il Concerto n. 1 in Si bemolle minore op. 23, rivisto due volte, anche se l'edizione pubblicata nell'agosto del 1879 (con modifiche del 1888) è quella correntemente eseguita. In proposito si veda questo post sul sito accademico "Tchaikovsky Research".
    A trentacinque anni Čajkovskij compie l'apertura ad un genere musicale generalmente sottostimato all'epoca, la musica di balletto e ad essa dovrà buona parte della sua fama. Nel 1877 va in scena al Teatro Bol'šoj di Mosca Lebedinoe ozero (Il lago dei cigni), op. 20, scritto nei due anni precedenti e nato durante una delle tanti estati trascorse con la famiglia della sorella ed i nipoti, un angolo di serenità spirituale al quale il musicista fece ricorso sovente.
    Il balletto ha un valore musicale davvero speciale, anche per le componenti "drammaturgico-musicali" (Čajkovskij fa un uso intensivo del cosiddetto leitmotiv e delle tonalità, con una cura particolare per la strumentazione).
    Tra l'estate e l'autunno del 1876 compone il poema sinfonico op. 32 Francesca da Rimini, un altro dei suoi lavori per grande orchestra oggi più eseguiti.
    Sempre nel 1876 assiste tanto alla Carmen di Georges Bizet, quanto alla prima assoluta della Tetralogia (L'anello del Nibelungo) di Richard Wagner, traendone - per diverse ragioni - motivi di entusiasmo (nel primo caso) o di critica (nel secondo, anche se le composizioni scritte in quel periodo risentono di effetti strumentali debitori al musicista tedesco). Carmen inoltre farà capolino anni dopo nel momento di creazione della propria opera lirica La dama di picche.
    Gli eventi biografici che daranno una marcatura indelebile alla vita del musicista si verificheranno proprio tra la fine del 1876 e il 1877 e costituiscono due capitoli a sé, degni di essere indagati assieme al mistero sulla sua morte prematura (come infatti i biografi, ancora oggi, continuano a fare, per fini non solo di curiosità ma perché Čajkovskij fu un tipico artista dell'Ottocento, ove le sue proprie vicende personali si saldarono sempre con la creazione artistica). L'indagine critico-biografica tipica del secolo seguente e dell'attuale, con ricorsi anche alla psicoanalisi, cercherà di mettere in luce, gli aspetti della sua complessa personalità più di quanto non fosse già blandamente avvenuto nelle prime, pur non marginali opere biografiche (vedi sezione "Letteratura e media").
    Nadežda Filaretovna von Meck, nata nel 1831 e dunque più vecchia di soli nove anni rispetto a Čajkovskij, era una russa di classe media che aveva ottenuto il titolo nobiliare sposando Karl von Meck, un ingegnere ferroviario, originario della regione baltica dell'antico Impero. Le condizioni economiche della famiglia (con molti figli) furono disagiate per lungo tempo (lo ricorderà la donna stessa in una lettera a Čajkovskij), ma cambiarono tuttavia verso il 1860, in virtù della concessione governativa, ottenuta con intrighi e corruzioni, per la costruzione di tre importanti linee ferroviarie.
    Rimasta vedova nel 1876, la donna si ritrovò un'immensa fortuna e - intelligente, pur se dispotica - amante delle arti e della musica in particolare, prese a diventare uno di quei mecenati che la storia russa del tempo vide non di rado. La donna cercava all'epoca un giovane violinista che potesse accompagnarla nel repertorio per solista e pianoforte (madame era una buona dilettante). Tramite Nikolaj G. Rubinštejn la scelta cadde su Iosif Iosifovič Kotek, che aveva allora ventun anni, allievo di Čajkovskij ed anche – a suo tempo – uno dei tanti amanti del musicista.
    Fu così che il nome del compositore venne fatto e una commissione inoltrata (Kotek sapeva benissimo dei bisogni economici di Čajkovskij): lautamente ricompensata, s'intende. La prima lettera della donna al musicista è del 30 dicembre 1876: «La prego di credere che con la sua musica la mia vita è davvero diventata più facile e piacevole». La risposta fu immediata, del giorno dopo.
    È l'inizio di un rapporto particolarissimo, fatto di detto e non detto tra i due, di una dipendenza spirituale reciproca, analizzata ormai sin troppo dai biografi e purtuttavia carica di fascino (ne ha data una personale lettura il regista Ken Russell nel suo film (vedi sottosezione "Film e documentari televisivi"). La von Meck fu una delle tre donne importanti nella vita di Čajkovskij, assieme alla madre e alla sorella Aleksandra. A loro il musicista fece ricorso in varia misura e in diverse circostanze: più esattamente è possibile concordare con Maria Delogu quando dice: «Forse Čajkovskij sperava di trovare quella madre che tanto gli era mancata e di cui tutto sommato aveva molto più bisogno che di un'amante».
    La von Meck divenne la principale finanziatrice del compositore, cui elargiva frequentemente grosse somme di denaro ed un regolare mensile. La cosa avveniva all'insegna di un autentico mecenatismo, pur apparendo scontata la "facilità" dell'atto, vista la ricchezza di lei. Il musicista, dal canto suo, non si fece invero molti scrupoli nell'accettare e ricorrere sovente alla generosità di madame. Questo sostegno economico, al quale la von Meck si riteneva come obbligata tanto dalla propria posizione sociale quanto dal trasporto affettivo verso il musicista, consentì a Čajkovskij di abbandonare la cattedra al Conservatorio, per dedicarsi a tempo pieno alla composizione.
    La donna fu anche una confidente privilegiata del musicista e la persona con cui intrattenne una fittissima corrispondenza : si scrivevano praticamente ogni giorno e anche più volte al giorno (questo almeno per la prima parte della loro relazione epistolare) dal 1877 al 1890. Secondo lo specialista Brett Langston, curatore del "Forum" sul sito in lingua inglese "Tchaikovsky Research", il numero complessivo sarebbe attualmente (2009) di milleduecentotré lettere, di cui 768 scritte dal musicista e 435 dalla von Meck. Tale stima è riportata nel The Tchaikovsky Handbook..., vol. 2, edito nel 2002 da Alexander Poznansky e Langston (vedi "Bibliografia").
    Čajkovskij fu un grafomane assoluto, capace di arrivare a scriver ben 18 lettere al giorno; uno spazio, serale di solito, era puntualmente riservato a questo. Le lettere repertoriate nel The Tchaikovsky Handbook... ammontano a 5.248 ("aggiornato" a 5.259). La sua corrispondenza e i Diari sono sovente rivelatori come non mai.
    Sul sito "Tchaikovsky Research" appare una sezione aggiornata, con un motore di ricerca interna, sul complessivo numero di lettere "ad oggi", per cui, ad esempio, al settembre 2011, le lettere scritte dal musicista sarebbero 5.347 a 389 corrispondenti diversi, ma tenendo tuttavia presenti le "scoperte" più recenti di materiale sinora sconosciuto (quasi un centinaio). Questi "aggiornamenti" epistolari e quant'altro, sono inclusi nel predetto sito in apposita sezione (Tchaikovsky Research bulletin...).
    I due per reciproca, concorde volontà, non si incontrarono mai, anche se non mancarono delle eccezioni volute dal caso o dall'astuzia femminile della von Meck, contro ben altri sentimenti del musicista, che temeva l'approccio fisico con lei, fermo nella sua costante idealizzazione dell'altro sesso. Le circostanze sono riportate da più biografi. In una prima occasione, il musicista venne invitato (1878) a Firenze (una città prediletta, ove frequentemente tornava e compose) da madame che vi soggiornava. Il "gioco" era anche quello di visitare le reciproche dimore in assenza l'un dell'altro oppure, come scrive lo stesso Čajkovskij:

    « Alle undici e mezzo precise del mattino passa davanti a casa mia, cercando di vedermi e non riuscendovi a causa della sua miopia. Ma io la vedo perfettamente. A parte questo, ci siamo intravisti una volta a teatro... »


    (Čajkovskij, riportato da A. Orlova, op. cit., p. 152)

    Un'ulteriore circostanza si verificò l'estate dell'anno seguente, ospite il musicista in una tenuta della von Meck presso Simaki. Nonostante i rispettivi orari fossero coordinati in modo da evitare possibili incontri, come racconta sempre il musicista:

    « Accadde un incidente spiacevole...Andai nel bosco, persuaso di non incontrare certo Nadežda Filaretovna...Avvenne dunque ch'io uscissi un po' più presto e che ella fosse in ritardo. Così ci incontrammo inaspettatamente. Sebbene ci guardassimo soltanto un attimo, io rimasi estremamente confuso, riuscii però a salutare cortesemente, togliendomi il cappello. Lei invece sembrò perder completamente il controllo e non sapere come comportarsi »


    (Čajkovskij, riportato da K. von Wolfurt, op. cit., p. 185)

    La von Meck però gli scrisse:

    « Sono veramente felice del nostro incontro e non posso descriverle il calore che sentii affluirmi al cuore quando ebbi compreso che era lei...Non desidero rapporti personali fra noi, provo però un piacere enorme a sapermi silenziosa e passiva vicino a lei, a esser con lei sotto un medesimo tetto, come quella volta a teatro a Firenze, o incontrarla come poc'anzi... »


    (von Meck, riportata da K. von Wolfurt, op. cit., p. 185)

    Del resto il musicista temeva questo "pedinamento" (che avrebbe potuto nascondere chissà quali "pretese") e rifiutò di vedere persino l'ultimogenita della von Meck che, sembra autonomamente, aveva manifestato il desiderio di vedere l'uomo misterioso e chiedeva innocenti ragguagli fanciulleschi sul misterioso signore. E a "madame" scriveva sempre e comunque lettere piene delle sue tipiche circonlocuzioni, esternando un contegno che spesso non corrispondeva ai suoi sentimenti reali, viceversa rivelati ad amici e parenti.
    La von Meck era una donna appassionata nelle proprie manifestazioni: durante gli anni di questa inusuale relazione con il musicista lo manifestò chiaramente e tutt'altro che con desideri "platonici" (sebbene sempre velati), quando si rivolse significativamente a lui chiamandolo "mio tesoro", "mio diletto" e "mio signore e Maestro". Il musicista per parte sua si guardò sempre bene dall'assecondare queste "voglie" di una vicinanza tangibile, che ovviamente capiva esservi da parte della mecenate.
    È interessante tuttavia sapere che un accostamento fisico tra i due personaggi avvenne davvero, attraverso le nozze che i due favorirono (o si potrebbe dire "stabilirono", ovviamente per corrispondenza) tra un figlio della von Meck, Nikolaj e Anna, una delle figlie della sorella di Čajkovskij, Alexandra Davydov, avvenimento sin troppo chiaro del desiderio di un'unione carnale (certo da parte di madame, più che altro).
    Seriamente convinto che ogni vicenda umana, specie quelle che lo riguardavano, fosse sotto l'influsso del destino - con la maiuscola (aveva scritto del resto nel 1868 un lavoro sinfonico titolato Fatum) - Čajkovskij lesse questa relazione con la von Meck in tal senso, ma non solo, come si vedrà. Del resto egli espresse tali convincimenti non unicamente a parole o con modalità tipicamente russe del tempo, ma nella propria "filosofia" di vita, nell'intera sua estetica e dunque nella concreta realizzazione artistica.
    Il "ciclo" delle ultime tre sinfonie lo testimonia bene, quando, a proposito del celebre tema introduttivo della Sinfonia n. 4 in Fa minore, dedicata (non a caso) al "mio miglior amico" (ovverosia la von Meck), il musicista stesso spiega:

    « «Questo è il Fato, forza nefasta che impedisce al nostro slancio verso la felicità di raggiungere il suo scopo, che veglia gelosamente affinché il benessere e la tranquillità non siano totali e privi di impedimenti [...] Invincibile, non lo domini mai. Non resta che rassegnarsi e soffrire inutilmente. Il sentimento di disperazione e sconforto si fa più forte e cocente. Non sarebbe meglio voltare le spalle alla realtà e immergersi nei sogni? [...] Così tutta la vita è un'alternanza ininterrotta di pesante realtà, sogni fugaci e fantasie di felicità... Non c'è approdo. Vaga per questo mare, finché esso non ti avvolge e ti inghiotte nelle sue profondità.» »


    (Čajkovskij, riportato da A. Orlova, op. cit., pp.109-111)

    Un vero e proprio "ciclo" con tema il "Fato" quello delle ultime tre sinfonie, con un unico discorso tripartito: così esso è ormai considerato dalla moderna critica e segnatamente dai direttori d'orchestra.
    In queste condizioni costituzionali e di carattere (che non meritano esser sbrigativamente intese solo come un momentaneo "atteggiamento", considerati gli eventi familiari vicini e lontani), ha luogo il secondo avvenimento capitale nella vita di Čajkovskij, pure esso esplicitamente reso nel film di Ken Russell che vi dedica ampia parte nell'esatta progressione dei fatti reali.
    Dell'avvenimento restano resoconti diretti dello stesso musicista e nel racconto dell'amico Kaškin. Essi sono lungamente rintracciabili nel volume di Alexandra Orlova.
    Le circostanze (che il musicista lesse come fatali) vollero che in quel momento stesse iniziando la composizione di quello che sarà uno dei suoi massimi lavori per le scene liriche, Evgenij Onegin (Eugenio Onieghin) e lo cominciasse esattamente dalla celebre scena "della lettera", in cui la protagonista, Tat'jana, esprime le sue pene d'amore. In quel mentre, una sua ex-allieva (che egli poco o niente ricordava), Antonina Ivanovna Miljukova, nata nel 1849, gli scrisse una lettera-dichiarazione d'amore.
    Il collegamento tra realtà ed arte, tra vita e ideale fu rapido per il musicista, tanto che - seppur poco convinto nell'intimo e contro il parere di amici e parenti - si decise per un matrimonio fulmineo. Ammise: «Ho deciso di non sfuggire al mio destino e che il mio incontro con questa ragazza è stato in qualche modo voluto dal destino» (lettera alla von Meck ). E a Kaškin: «Amavo Tat'jana ed ero terribilmente arrabbiato con Onegin che vedevo come un bellimbusto freddo e privo di cuore [...] e mi è parso di comportarmi molto peggio di Onegin».
    È interessante riportare la puntualizzazione in merito allo sviluppo del fatto secondo lo specialista Alexander Poznansky, rintracciabile anche nella biografia on-line del sito "Tchaikovsky Research" (appena linkata, in corrispondenza della nota 17 ivi) o nel volume di Ferruccio Tammaro[47], per cui dice Tammaro «...il rapporto fra vicende compositive e vicende biografiche potrebbe essere visto anche in senso inverso: sarebbe stata la relazione con la Antonina ad avvicinare Čajkovskij all' Onegin [...] e non il contrario».

    Le nozze furono celebrate il 18 luglio 1877 (Calendario gregoriano). L'esito di tale atto fu disastroso. Le conseguenze sulla sua psiche furono devastanti. Scriverà fra l'altro:«Dal punto di vista fisico, mi è diventata assolutamente ripugnante [corsivo della fonte]»; ed ancora: «Avrei potuto strozzarla».
    Costantemente in preda ad una fortissima repulsione verso la moglie scivolò nella Moscova tentando un suicidio "indiretto" (l'amico Kaškin lo seppe esattamente da lui e lo riportò nelle proprie "Memorie",), ma che si risolse in semplice raffreddore. Ripresosi fisicamente, passò presto ad un grave esaurimento nervoso; venne aiutato da familiari, amici e dalla stessa von Meck (che aveva sapientemente celato, all'inizio, la gelosia ed ora poteva esser certo felice del naufragio matrimoniale).
    L'opportunità di un matrimonio, medicina incerta vista la propria omosessualità, fu determinata in Čajkovskij paradossalmente proprio da tale condizione. Al fratello Modest, anch'egli apertamente omosessuale, aveva scritto nell'autunno del 1876, che pensava al matrimonio più che altro per i suoi familiari che per se stesso, in quanto era amareggiato dai pettegolezzi che la collettività poteva fare. Segreto di Pulcinella la sua condizione e vivo il senso di frustrazione (come è ovvio se si pensa all'epoca) tanto da farlo trasalire ovunque, in treno, al ristorante, quando leggeva negli innocenti sguardi di sconosciuti disprezzo e condanna.
    Matrimonio di convenienza dunque, per "copertura sociale", alla fine, romanticismi e fatalismi a parte, anche se essi vanno considerati. Queste soluzioni erano del resto all'ordine del giorno come nel caso dell'amico intimo Vladimir Stepanovič Šilovskij, per tacere di tant'altri.
    Ma non sono pochi i critici che hanno notato come fu anche questo suo "isolamento", questa sua "diversità" una delle spinte a scrivere una musica piena di vero páthos (con valore etimologico, di "sofferenza").
    Due dei suoi tre celeberrimi balletti ("Schiaccianoci" e "La bella Addormentata") videro la luce per esempio, con questa contraddittoria personalità:

    «Čajkovskij si rifugia-per sfuggire al suo démone-nell'infanzia [le favole alla fonte di quei soggetti, n.d.r.]... Compose... la musica più luminosa, più allegra che esista; perfino nei momenti più angosciosi della vicenda, si sente penetrare una luce: come i bambini che, anche se hanno paura, sanno che per loro il male non può durare»


    (Goléa, p. 76, vedi "Bibliografia").

    Antonina rappresentò una spina nel fianco per tutta la vita, rifacendosi viva, dopo la separazione di fatto (impossibile o meglio inopportuno il divorzio, per i pettegolezzi che avrebbe suscitato), con richieste di denaro e minacce (nonostante ricevesse una pensione dal musicista), mentre aveva avuto diversi figli da successivi rapporti). Già debole di mente (ma questo giudizio deriva anzitutto da Modest), morì in manicomio nel 1917.
    Non mancano, è bene precisarlo, nella bibliografia attorno a questo sfortunato personaggio, prese di posizione (documentate, oltre che oggetto di discussione) a favore di Antonina, vista sì come una donna debole, ma che ebbe la sfortuna di incrociare il proprio cammino con quello di un uomo tanto problematico quale Čajkovskij.Antonina lasciò una versione propria dei fatti, pubblicata nel 1894 e ristampata una sola volta nel 1913. Si può utilmente leggere il commento (nota 24 in particolare) dell' ineffabile Poznansky sul sito accademico "Tchaikovsky Resarch". Del resto nel film di Ken Russell L'altra faccia dell'amore, il regista "riabilita" non poco l'immagine della Miljukova talvolta sbrigativamente passata come pura ninfomane delirante.
    Riprendendosi, Čajkovskij scriverà grato a Nadežda von Meck (il cui nome proprio-curiosamente-significa in russo "speranza"): «D'ora innanzi ogni nota che uscirà dalla mia penna sarà dedicata a Voi!».


    La conclusione della vicenda con la moglie ed il periodo di riposo che ne seguì, auspici in particolare la von Meck e la sorella Aleksandra, segnano una graduale ma costante rinascita spirituale ed artistica del compositore. Le musiche scritte da allora, non solo aumentano quantitativamente, ma cresce la qualità e il successo in Russia come all'estero.
    È un crescendo che non si interromperà di fatto sino all'ambigua morte, tanto che molti musicologi sono certi che se Čajkovskij fosse sopravvissuto avrebbe scritto ancora molta musica, con soluzioni pure e senz'altro innovative e al passo coi tempi: la particolare scrittura de La bella addormentata, Lo Schiaccianoci, Iolanta e della Sesta sinfonia, sembrano testimoniarlo.
    E a tale proposito non va dimenticato un commento di Igor' Fëdorovič Stravinskij circa una precisa influenza che Čajkovskij avrebbe avuto secondo lui, sul giovane Mahler della prima e seconda sinfonia (e citava i passaggi).
    Le composizioni che vedono la luce da allora sono tutte o quasi destinate alla celebrità. Fra esse la Quarta Sinfonia, in Fa minore op. 36 e l'opera lirica Evgenij Onegin, già citati, la Suite n.1, in Re minore op. 43, mentre a Firenze[66] su invito della von Meck, nell'Italia che tanto gradiva[67], cura la composizione di una nuova opera lirica: Orleanskaja deva (La pulzella d'Orléans).
    Ecco il Capriccio italiano iniziato a Roma nel gennaio 1880 e poi la Serenata per archi in Do maggiore e l'Ouverture Solennelle «1812»; la sua fama cresce ulteriormente, testimoniata anche dall'offerta di direzione del Conservatorio di Mosca dopo la morte di Nikolaj Grigorevič Rubinštejn nel 1881, che egli rifiuta. Alla fine dell'anno viene eseguito il Concerto in Re maggiore, per violino e orchestra, op. 35 stroncato da Eduard Hanslick ma pure esso tra le opere più popolari del musicista. Alla memoria di Nikolaj Rubinštejn dedica il Trio in La minore, per pianoforte, violino e violoncello, op. 50, intitolato «Alla memoria di un grande artista». Viene eseguito nel 1882 il Concerto n. 2 in Sol maggiore per pianoforte ed orchestra, op. 44.
    Viaggi e spostamenti gli consentono di vedere ed ascoltare molto repertorio musicale del tempo e di ogni composizione si ritrovano nella sua sterminata corrispondenza annotazioni critiche (ad esempio di Wagner trova tremendamente lungo il Tristano e Isotta; dell'autore tedesco continuerà a prediligere Lohengrin).
    Il 1885 incomincia positivamente. Hans von Bulow dirige la Suite n. 3, in Sol maggiore ottenendo grande successo, lo zar e la corte assistono ad una recita di Evgenij Onegin. Pochi mesi prima il musicista aveva avuto un'udienza personale a corte, ricevuto un'onorificenza e appreso dalla voce di Alessandro III d'essere il musicista della famiglia regnante. Quest'ultimo avvenimento e la protezione ufficiale che ne seguì mitigarono alcune ferite dell'animo inquieto dell'artista, sempre del resto alla ricerca di conferme ufficiali e riconoscimenti che sanassero la sua perenne insoddisfazione esistenziale.
    Čajkovskij decise allora, come evidenza tangibile del "traguardo" raggiunto, di affittare una casa in campagna tra Mosca e San Pietroburgo: la scelta cadde su Maidanovo, nei dintorni di Klin. Il musicista potrà dire con fierezza: «Che gioia essere a casa mia... Capisco ora che il mio sogno di passare il resto della mia vita nella campagna russa non è un capriccio passeggero, ma un'esigenza naturale e profonda».

    Sebbene ben lontano dalla propria morte, il musicista si abbandona a frequenti osservazioni sul mistero della vita che emergono puntualmente dai suoi diari e lettere: «Nella mia mente c'è il buio e non potrebbe essere altrimenti di fronte alle domande insolubili per la debole ragione, come la morte, lo scopo e il significato della vita, la sua eternità o caducità ».

    Nel 1885 Čajkovskij viene eletto direttore della sezione moscovita della Società Musicale Russa, un'istituzione cardine a quei tempi ed i suoi rapporti con parenti, amici e la von Meck proseguono in linea di massima con regolarità di contatti come nel passato.
    Ora dorme di più, fuma e beve di meno e conduce una vita all'insegna del controllo psicofisico con regolarità d'abitudini quotidiane, lui che, nevrotico giustificato anche dagli eventi, aveva condotto spesso una vita disordinata. L'umore è buono, spesso ottimo, ma non mancano regolari quasi fisiologiche crisi depressive.
    A lui bastava poco: la partenza di un amico, un tramonto, il paesaggio russo, un ricordo lontano, come quello nell'anniversario della morte della madre che non gli permette di chiudere occhio una notte dopo che ha ritrovato reperti epistolari dell'epoca: scrive a tal proposito infatti: «La nostalgia di mia madre...che amavo di un amore morboso ed appassionato...».

    Dal 1885 sembra che siano cominciate da parte dei figli della von Meck lamentele per le sovvenzioni che madame proseguiva ad elargire nonostante le mutate condizioni economiche dell'artista.
    A Parigi (un'altra città frequentatissima) nel 1886 tra caffè, ristoranti e ritrovi di dubbia reputazione, mignons ufficiali e incontri occasionali, Čajkovskij ebbe una delle più grandi emozioni della sua vita. In casa della cantante Pauline Viardot gli fu permesso di vedere l'autografo manoscritto del Don Giovanni di Mozart e ne fu sconvolto. Fu per lui come parlare con il grande artista.
    « Ho sfogliato per due ore la partitura originale di Mozart. Non posso descrivere l'emozione provata nell'esaminare il sacro oggetto [corsivo della fonte]. Mi è sembrato di stringere la mano a Mozart in persona e chiacchierare con lui »
    (Čajkovskij, anche in C. Casini, M. Delogu, op. cit., p. 337)

    Altri viaggi all'estero specie per la direzione di proprie composizioni nel 1887 e nel 1888, un anno questo che vedrà la nascita della Sinfonia n. 5 in Mi minore op. 64 (un anno, il 1888, peraltro ricco di molte celebri composizioni di altrettanto celebri musicisti, come Gustav Mahler, Richard Strauss, César Franck e Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov.
    Al ritorno in Russia una nuova sistemazione sempre vicina a Klin, esattamente a Frolovskoe, in campagna e l'assegnazione di un vitalizio annuo di tremila rubli accordatogli motu proprio dallo Zar (segno della sua alta considerazione) e che con i proventi dal lavoro e la pensione della von Meck, potevano certo metterlo al sicuro (nonostante Čajkovskij fosse anche uno "spendaccione" per sé e gli altri, generoso atteggiamento sempre manifestato, nell'ambito di quel proprio carattere insicuro e non senza ombre).
    Sono gli anni della composizione anche di altre opere liriche, sebbene considerate di valore inferiore rispetto a Evgenij Onegin e La dama di picche. Questi i titoli: Mazepa 1881-1883, Čerevički (Gli stivaletti), 1885 (che è una rielaborazione di Il fabbro Vakula) e Čarodejka (La maliarda), 1885-1887. Nel settore sinfonico la Sinfonia Manfred del 1885 e la Suite n. 4, in sol maggiore, op. 61, 1887.
    Nel 1888 compiendo la già citata sua prima tournée all'estero e toccando Lipsia conoscerà Johannes Brahms (che non gli risulterà particolarmente simpatico ripagato parimenti dall'altro artista) e Grieg (il contrario); a Praga sarà invece la volta di Antonín Dvořák con il quale nasce una spontanea comprensione e che già lo apprezza intensamente.
    Importante fu la commissione del suo secondo balletto Spjaščaja krasavika, (La bella addormentata) già iniziata nel 1888 e composta seguendo strettamente le indicazioni librettistiche di Ivan Aleksandrovič Vsevoložskij, direttore dei Teatri Imperiali e soprattutto quelle meticolose di Marius Petipa, il coreografo. Alla prova generale era presente l'imperatore che se ne uscì con un laconico «Molto grazioso!». Il musicista ne fu offeso: «Sua Maestà mi ha trattato molto sbrigativamente. Dio sia con lui.». Protagonista fu la celebre Carlotta Brianza assieme a Pavel Gerdt e al celebre Enrico Cecchetti. Musicalmente e drammaturgicamente il balletto è prossimo a Il lago dei cigni ma con dettagli più elaborati.[77]
    Una curiosa foto del musicista con i primi due interpreti de "La dama di picche", 19 luglio 1890, il tenore Nikolaj Nikolaevič Figner e il soprano Medea Ivanovna Figner, nata Mej.
    Nel 1889 "scopre" tra l'ammirato e l'entusiasta il fonografo di Edison, che giudica la più interessante invenzione del XIX secolo.[78] Nel 1890 parte per Firenze dove appronta La dama di picche su libretto del fratello Modest, e i suoi scritti autografi testimoniano del fervore creativo che accompagna la creazione di quest'opera vivamente sentita, il cui fatalismo si ispira anche alla Carmen di Bizet. E se mai avesse avuto dubbi nel credere alle beffe del Fato, ecco che un drammatico avvenimento accade al suo rientro nell'ottobre di quel 1890.
    Con una prima lettera (4 ottobre, data del Calendario gregoriano) madame von Meck lo avvisava di diverse disgrazie economiche cui era andata incontro. Questa missiva si chiudeva tuttavia con le tradizionali formule affettuose e in un post-scriptum lo invitava a scrivergli a Mosca anche se lei ora si trovava all'estero.
    Pochi giorni dopo però il musicista ricevette una seconda lettera della donna comunicantegli che a causa di ulteriori e definitivi dissesti finanziari, ella non avrebbe potuto più sovvenzionarlo.
    Tale lettera (non conservatasi) si chiudeva con parole (lo si deduce dalla risposta del musicista, rimasta) in cui la von Meck chiedeva di non essere dimenticata del tutto. Čajkovskij comprensibilmente allarmato, si precipitò a rispondere, manifestando il suo affetto e la sua fedeltà, la sua eterna riconoscenza.
    Le reazioni del musicista furono però di profondo malessere, come testimoniano sue corrispondenze al proprio editore ed amico Pëtr Ivanovič Jurgenson.
    Non dandosi pace, tentò con intermediari di riallacciare i rapporti, ma alcuni di questi – per vari interessi e motivazioni personali – si rifiutarono od ostacolarono tutto.
    È stato anche ipotizzato che le ultime somme elargite lo fossero state contro la volontà dei familiari. La von Meck del resto stava attraversando anche un periodo di malattia psico-fisica e la vecchiaia la rendeva sempre più dipendente dai figli che, mai sazi di denaro, vedevano con costante preoccupazione il protrarsi del mecenatismo materno. E poi in lei, forse, avvenne qualche ripensamento: qualche scrupolo di aver trascurato la sua numerosa figliolanza dovette farsi strada.
    Significative sono le parole immaginate da uno scrittore russo contemporaneo, Jurij Markovič Nagibin, in un suo racconto ove madame alle lamentele dei figli esplode così:
    « Come osate dare in escandescenze davanti all'incarnazione dell'arte? Se la gente si ricorderà di noi, sarà soltanto perché abbiamo condiviso il destino del signor Čajkovskij »
    (Nadežda Filaretovna von Meck, nel racconto di Jurij M.Nagibin, in Nicastro, op. cit., p. 219)

    La realtà che la von Meck non fosse finanziariamente naufragata ed il suo assoluto silenzio (ma come si è detto probabilmente essa fu tenuta all'oscuro dei tentativi e desideri del musicista di ripresa dei contatti o lo seppe tardivamente ed inutilmente), furono una dura prova per Čajkovskij, il cui lato economico della faccenda effettivamente poco poteva importargli, avendo raggiunto una sua propria agiatezza.
    Sul letto di morte, nel delirio, il musicista pronunziò ripetutamente la parola "maledetta" e il fratello Modest pensò che essa fosse rivolta alla von Meck, ma il biografo Warrack ha sostenuto che essa poteva invece riferirsi alla malattia che lo stava uccidendo (in russo "colera" è di genere femminile) e che del resto era stata la causa della morte a suo tempo dell'amatissima madre.
    Nel 1891 il Teatro Mariinskij lo incarica dell'opera lirica in un atto Iolanta e di un balletto Ščelcunčik (Lo Schiaccianoci) da darsi congiuntamente. L'opera, l'ultima composizione lirica del musicista, è diversa da tutte le altre scritte ed ha sorprendenti anticipazioni che la critica, specie posteriore, noterà. Quanto al balletto, anch'esso costruito con meticolosa precisione come avvenuto per La bella addormentata, è lo stesso musicista a fornire una chiave di comprensione generale e di alcuni suoi elementi costitutivi, in questa lettera di tempo addietro: «I fiori, la musica e i bambini, sono i gioielli della vita. Non è strano che amando tanto i bambini il destino non mi abbia dato di averne?».

    Alla morte dell'amata sorella Aleksandra, nel 1891, appresa all'estero su un giornale (e che egli tentò come di rimuovere), riversò sul di lei figlio,Vladimir detto Bob[86], l'affetto pieno e totale che era già stato ampiamente manifestato negli anni precedenti. Il giovane (morirà suicida nel 1906, per i dolori di una grave malattia) fu l'ultimo serio oggetto di passione amorosa del musicista, ma avendo una valenza particolare come è facile intuire. A lui fu dedicata la Sinfonia n.6 in Si minore, op. 74 Pathétique, 1893. I rapporti tra zio e nipote hanno dato modo ai biografi di scrivere molto e non a torto, in quanto "Bob" approfittò della generosità e debolezza dello zio in ogni senso.

    In questi anni la fama di Čajkovskij è al culmine. Inizia un giro concertistico negli Stati Uniti, chiamato ad inaugurare i concerti della Carnegie Hall; trova l'America e gli americani strani e curiosi, ma simpatici: vede un mondo veramente nuovo e ne scrive copiosamente, sempre festeggiato ed onorato come il "Re", assalito dai giornalisti si accorge di essere popolare in America dieci volte di più che in Europa.
    Nel 1892 Gustav Mahler, che lo impressiona come direttore non comune, dirige ad Amburgo alla sua presenza Evgenij Onegin. Ascolta in quel momento anche la Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni che gli piace molto.
    In primavera cambia casa per la terza ed ultima volta proprio a Klin e ne fu pienamente soddisfatto: assomigliava a quella in cui era nato ed aveva un giardino di betulle e fiori, che il compositore amava; questa dimora diventerà un giorno l'attuale "Museo Čajkovskij", pieno di suoi ricordi, materiali e documenti per volontà primaria del fedele domestico Aleksej Sofronov, del fratello Modest e del nipote Bob Davidov, ed in seguito divenuta monumento nazionale per pubblico omaggio da parte di Lenin.
    Comincia a pensare ad una nuova sinfonia[97] che dovrebbe raccogliere la sua "vita" (e questo primitivo titolo circola nei suoi appunti). Ne abbozza qualcosa (la tonalità è in Mi bemolle maggiore) ma viene messa da parte; il primo movimento confluirà poi nel Terzo Concerto per pianoforte ed orchestra, op. 75 postuma.
    È però interessante sapere[98] che all'inizio del 1891 tali schizzi portavano delle annotazioni le quali saranno di fatto "trasportate" e seguite (se non tali e quali ma come traccia di massima), nel programma "segreto" della Sesta Sinfonia, segno che il compositore stesse arrovellandosi su questi temi. Scrive: «Prima parte - tutto impeto e sicurezza, voglia di attività. Deve essere breve (alla fine "morte", risultato del collasso). Seconda parte: amore. Terza: disinganno. La quarta finisce morendo (anche questa breve)». Indicò anche alcuni titoli: «I Gioventù II Ostacoli! Assurdità… Coda - Avanti, avanti!» (è un'ipotesi che in quel tempo stesse rimuginando sulla propria storia con la von Meck).
    Un fatto evidente emerge chiaro dalla fase terminale e "calante" della vita e del fare artistico: la necessità quasi "biologica" di scrivere l'opera capolinea, riassuntiva e conclusiva del proprio percorso poetico. Da un certo momento dunque, come dimostra la cronologia biografica e artistica, il musicista è verosimilmente ossessionato da questa Sesta Sinfonia, oscura, con un'ansiosa ostinatezza di programma preciso quanto gelosamente celato[99], l'atto finale, il riassunto di un'intera esistenza, vita, morte ed ufficio funebre[100]. L'abbozza, inizia a scriverla, la riprende, la modifica, non sa decidersi, un continuo cruccio alla fine compiutamente risolto.
    La morte sembra davvero battere alla porta. Continuano a spegnersi gli amici e gli amori di una vita, anche il poeta Apuchtin nell'agosto del 1893: gli si chiederà di musicare il di lui Requiem, ma, declinando, precisa che nella propria ultima sinfonia, soprattutto nel finale, l'atmosfera è «quella stessa».
    Il caso gli ha concesso di rivedere all'estero la sua ormai vecchia governante Fanny Dürbach e l'onda dei ricordi lo sommerge e commuove.
    Ancora un giro concertistico all'inizio dell'ultimo anno di vita, poi inizia la stesura della sua ultima sinfonia Pathétique, ma, prima di chiuderla, utilizza il materiale dell'abbandonata sinfonia in Mi bemolle maggiore per il già citato Terzo Concerto per pianoforte ed orchestra in un solo tempo e per due movimenti Andante e Finale, sempre per piano ed orchestra, poi rivisti dall'allievo Sergej Ivanovič Taneev.
    L'Università di Cambridge lo insignisce del dottorato in musica, assieme a Saint-Saëns, Grieg, Boito e Bruch.
    Il 16 ottobre (data russa, per cui il 28 ottobre del Calendario gregoriano) 1893 avviene la prima della Pathétique a San Pietroburgo sotto la sua personale direzione che lascia l'uditorio in uno stato di ammirata sorpresa, ma con ampie zone di incomprensione. Il «Requiem per me stesso», la sinfonia con un programma "misterioso" è il proprio testamento spirituale ed artistico.
    Soltanto nove giorni dopo il musicista muore. È opinione diffusa che abbia commesso suicidio, anche se il modo e le circostanze sono ancora incerte: si è parlato di colera, contratto bevendo acqua infetta, anche se è più probabile l'avvelenamento da arsenico che produce una sintomatologia pressoché identica a quella del colera. Ma i dubbi circolarono diffusamente ovunque all'indomani della morte. La versione alternativa che si oppose a quella ufficiale (sancita dal biografo e fratello Modest) per colera tramite acqua infetta, è quella di un imposto suicidio tramite veleno autonomamente assunto dal musicista.
    Il compositore era entrato in relazione amorosa con il figlio di un certo conte Stenbok-Fermor, il quale oltremodo seccato dalla cosa era intenzionato a denunciarla direttamente allo zar.
    Lo scandalo che ne sarebbe derivato avrebbe avuto probabilmente drammatiche ripercussioni su Čajkovskij, in particolare e proprio su un personaggio così universalmente noto e simbolico per la Russia (la legge prevedeva la perdita di ogni diritto e l'esilio in Siberia, anche se di fatto questo "delitto" rimaneva sottaciuto e tollerato anche, specie - o perlomeno - in ambienti aristocratici. Non minor danno (secondo i sostenitori di tale versione) sarebbe ricaduto sulla Scuola di Giurisprudenza e sui suoi ormai famosi ex-allievi, tutti viventi ed altolocati (alcuni amici ed ex-amanti del musicista al vero).
    La soluzione più pratica apparve quella di un "giurì" d'onore al quale avrebbero partecipato, presente il compositore, sette alti personaggi. La lettera in cui il conte denunciava Čajkovskij non sarebbe stata trasmessa allo zar, ma il musicista si impegnava ad assumere il veleno, che gli venne recapitato successivamente, onorando tale assurdo impegno, anche proseguendo agli occhi di tutti, in particolare di amici e familiari, la vita d'ogni giorno.
    Quando Čajkovskij cominciò a star male la confusione su cosa stesse in realtà succedendo fu generale e i dubbi nacquero immediati. Tra i primi, famosi personaggi stupefatti in proposito, fu Rimskij-Korsakov che scrisse nelle sue Cronache: «Non solo per me, è stata oggetto di meraviglia la constatazione che non venne adottata alcuna precauzione d'ordine sanitario in quei giorni a casa sua, nonostante si dicesse in giro che il colera era stato la causa del decesso. Ricordo bene di aver visto… un insegnante… del Conservatorio, baciare il morto in fronte e sulle guance».
    Va aggiunto che numerose persone avevano avuto accesso all'appartamento prima e dopo la morte; per due giorni la salma restò esposta all'omaggio della gente, in casa di Modest: l'appartamento disinfettato e il corpo avvolto in un lenzuolo imbevuto anch'esso di antisettico, mentre un'infermiera disinfettava con una garza il volto trasfigurato (esiste una celebre fotografia), del musicista, sulla quale la folla depose il rituale bacio d'addio. È del resto anche vero che alcune scoperte scientifiche relative al morbo avevano reso le persone molto meno terrorizzate da una in sé remotissima possibilità di contagio.
    Le vere cause sono comunque ancora dibattute, come lo furono del resto all'epoca dei fatti, con opposti sostenitori della versione ufficiale di morte per colera e altri del suicidio tramite veleno. Non mancano peraltro "varianti" a queste due ipotesi fondamentali, sulle quali si è sbizzarrita la bibliografia[111]. Se pure fu colera, la discussione si è accesa su attraverso quali "vie" il compositore venne contagiato (acqua, rapporti sessuali, eccetera).
    Cosa accadde è un mistero verosimilmente destinato a restare tale per sempre. Il 6 novembre 1993 nel centenario della morte la BBC nel documentario radiofonico dal titolo Pride of Prejudice (vedi sezione "Letteratura e cinema"), trasmesso su BBC Radio 3, interpellò vari esperti che avevano preso parte al confronto sulla questione (tra cui Alexandra Orlova e Alexander Poznansky, oltre a storici russi e medici specialistici): la conclusione pendeva in gran parte per il "giurì d'onore" e l'avvelenamento.
    Un altro documentario, stavolta televisivo, venne prodotto nello stesso anno per la serie BBC 1 "Omnibus": Who Killed Tchaikovsky?, a cura di Anthony Holden, prendendo in esame gli stessi argomenti e con interviste simili.
    Per lo specialista Alexander Poznansky non vi sono dubbi: il musicista muore attorno alle tre antimeridiane del 6 novembre 1893 per complicazioni derivanti dal colera (uremia ed edema polmonare).
    Ma il biografo più accreditato, David Brown, avverte:"Lasciatemi dichiarare categoricamente[...]che non esiste una sola prova che la morte di Čajkovskij sia stata dovuta al colera preso bevendo dell'acqua non bollita e non ad altre cause naturali, anche si vi sono altre ipotesi, spesso confermate da più di un testimone diretto, che sembrano indicare chiaramente che qualcosa d'altro fosse successo, ma poiché nessuna di esse può essere confermata restano appunto ipotesi."
    Ed infine, sempre Brown, conclude e sentenzia: "Ci sono state lunghe discussioni, spesso piene di acrimonia, su questi fatti e sui vari annessi, e la sola conclusione possibile è che non ci sarà mai dato modo di sapere che cosa sia veramente accaduto né-cosa ancora più importante-perché.

    «Nonostante la sua fragilità neuropsichica, sarebbe vissuto chissà quanto», ha scritto Luigi Bellingardi, «Invece un laccio della vita, del destino, gli fu fatale. Senza scampo».

    Alle esequie di Stato, un onore fino ad allora concesso solo alla storico Karamzin e a Puškin, era attesa la partecipazione dello zar Alessandro III che, tuttavia, rimase ad osservare la folla da una finestra. Il suo commento fu: «Avevamo un solo Čajkovskij».
    Nella Cattedrale di Kazan' sulla bara venne posta una corona di rose bianche, dono personale dello zar, ed un cuscino di velluto nero con le decorazioni di San Vladimiro.
    La Cattedrale ove si officiò il rito poteva contenere 6.000 persone, ma le richieste per assistere ai funerali furono dieci volte tanto e nel luogo sacro si riuscirono a stipare 8.000 individui.
    La von Meck morì due mesi dopo il musicista, lontano dalla Russia, per tubercolosi. Anna Davydova-von Meck, nipote di Čajkovskij, quando le fu domandato come madame avesse accolto la scomparsa del suo amico, rispose: «Non poté accettarla»; al funerale del musicista fu la grande assente, rappresentata da una corona di fiori.
    Tra i numerosi commenti alla scomparsa del musicista, significativo quello di Lev Tolstoj: «Mi dispiace tanto per Čajkovskij… Più che per il musicista mi dispiace per l'uomo intorno a cui c'era qualcosa di non completamente chiaro. Quanto improvviso e semplice, naturale ed innaturale, e quanto vicino al mio cuore».
    La tomba del compositore si trova al Cimitero Tichvin, situato nel Monastero di Aleksandr Nevskij di San Pietroburgo, là ove sono sepolti molti altri artisti russi tra cui, emblematicamente, l'intero Gruppo dei Cinque.

    Composizioni:
    Balletti

    (1875 - 1876): Il lago dei cigni (Lebedinoe ozero) , Op. 20. Fu il primo balletto di Čaikovskij, rappresentato, pur con quache taglio, al Teatro Bol'šoj di Mosca, nel 1877. Fu apprezzato a pieno solo dopo la morte del musicista.

    (1888 - 1889): La bella addormentata (Sp'aščaja krasavica), Op. 66. Čaikovskij vedeva quest'opera come una delle più riuscite. La sua prima rappresentazione fu nel 1890, al Teatro Mariinskij a San Pietroburgo.

    (1891 - 1892): Lo Schiaccianoci (Ščelkunčik), Op. 71. Anche se il compositore rimase meno soddisfatto dell'impegno profuso per questo balletto, Lo Schiaccianoci è uno dei suoi lavori più popolari, anche grazie alla Suite realizzata dallo stesso Čaikovskij, ed il suo fascino risiede in un peculiare sentimento di magico e di fatato legato al sogno e al ritorno a un sentire ingenuo.

    Opere liriche


    (1867-68): Il Voevoda (Воевода), Op. 3.
    (1869): Undina (Ундина), parzialmente perduta (distrutta dall'autore).
    (1870-72): L'Opričnik (Опричник).
    (1874): Il fabbro Vakula (Кузнец Вакула) rappresentata a San Pietroburgo nel 1876. L'opera fu rielaborata nel 1885 con il titolo Gli stivaletti.
    (1877-78): Evgenij Onegin (Евгений Онегин), Op. 24, dall'omonimo romanzo in versi di Aleksandr Puškin, che ottenne un ampio consenso nella ripresa del 1881 (la prima era avvenuta nel 1879).
    (1878-79): La Pulzella d'Orleans (Орлеанская дева), rappresentata a San Pietroburgo nel 1881.
    (1881-83): Mazepa (Мазепа), opera in tre atti tratta da Puškin; un tipico melodramma russo che narra la storia d'amore tra un condottiero, una giovane donna ed il suo giovane innamorato, con risvolti intensi e drammatici. Venne rappresentata a Mosca nel 1884.
    (1885): Gli stivaletti (Черевички), revisione de Il fabbro Vakula.
    (1885-87): La maliarda (Чародейка), rappresentata a San Pietroburgo nel 1887.
    (1890): La dama di picche (Пиковая дама), op. 68, sempre tratta da Puškin, e considerata il suo capolavoro teatrale, mostra particolari accenti di intensità macabra e angosciosa. Rappresentata a San Pietroburgo nel 1890.
    (1891): Iolanta (Иоланта), op. 69, opera in un atto, libretto del fratello del compositore, Modest, dal dramma La figlia di re Renato dello scrittore danese Heinrik Hertz, ispirato ad un racconto di Hans Christian Andersen e tradotto in russo da Kostantin Zotov.

    Composizioni sinfoniche

    (1866): Sinfonia n. 1 in sol minore, op. 13, Sogni d'Inverno
    (1872): Sinfonia n. 2 in do minore, op. 17, Piccola Russia
    (1875): Sinfonia n. 3 in re maggiore, op. 29, Polacca
    (1877 - 1878): Sinfonia n. 4 in fa minore, op. 36,
    (1885): Sinfonia Manfred, in si minore, op. 58,
    (1888): Sinfonia n. 5 in mi minore, op. 64
    (1893): Sinfonia n. 6 in si minore, op. 74, Pathétique

    (1869, due revisioni: 1870, 1880): Romeo e Giulietta (da William Shakespeare)
    (1873): La tempesta, op. 18 (da William Shakespeare)
    (1876): Marcia slava, op. 31
    (1876): Francesca da Rimini, op. 32 (da Dante Alighieri)
    (1880): Capriccio italiano, op. 45
    (1880): Ouverture 1812, op. 49
    (1888): Amleto, op. 67 (da William Shakespeare)
    (1890)-(1891): Voevoda, op. 78

    Suite per orchestra

    (1878-1879): Suite n. 1 in Re minore, op. 43, dedicata a Nadežda Filaretovna von Meck
    (1883): Suite n. 2 in Do maggiore, op. 53; l'organico comprende anche quattro fisarmoniche "a libitum".
    (1884): Suite n. 3 in Sol maggiore, op. 55;
    (1887): Suite n. 4 in Sol maggiore, op. 61; il sottotitolo della composizione è "Mozartiana" basandosi interamente su pezzi di Mozart: il K. 574, 355, 618 e 455 del catalogo di Mozart, segno dell'amore per il compositore salisburghese.

    Concerti

    (1874-1875): Concerto n. 1 in Si bemolle minore op. 23, è il più conosciuto e apprezzato. Fu all'inizio respinto dall'esecutore per cui era stato pensato, il pianista Nikolaj Grigorevič Rubinštejn, il quale vedeva in esso una composizione poco ricca e poco interpretabile - e pertanto debuttò con Hans von Bülow a Boston nel 1875. Opera tra le più popolari del suo autore, si caratterizza per lo stile vivido e folgorante e per il grandioso incipit.
    (1878): il Concerto per violino e orchestra in Re maggiore, op. 35, fu composto in meno di un mese tra il marzo e l'aprile 1878, ma la sua prima esecuzione ebbe luogo solo nel 1881 perché Lipót Auer, il violinista a cui Čajkovskij intendeva dedicare il lavoro, si rifiutò di interpretarla. Tuttavia nel tempo il concerto si è guadagnato una grande notorietà.
    (1893): il Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra in Mi bemolle maggiore op. 75, postumo, è della fine del 1893. La sua storia è connessa a quella della "Sinfonia in Mi bemolle maggiore" (vedi "Sinfonie", in "Composizioni"). Si tratta di un Allegro brillante che altro non è se l'elaborazione del primo movimento della Sinfonia abbandonata. L'idea era quella di un concerto nei classici tre tempi, ma vista la lunghezza generale, il compositore decise di farne un Concerto ad un solo movimento.

    Altri lavori

    (1871): Quartetto d'Archi numero 1 in Re maggiore, Op. 11, il cui primo tempo suscitò l'ammirazione commossa di Lev Tolstoj
    (1875): Sérénade mélancolique, op. 26
    (1876): Variazioni su un Tema Rococò per violoncello e orchestra, pp. 33; Čajkovskij considerava quest'opera uno dei suoi capolavori.
    (1876): ,Le Stagioni, suite per pianoforte, op. 37b
    (1882): Trio per pianoforte in La minore, op. 50
    (1886): Dumka, scena rustica in Do minore per pianoforte, op. 59
    (1890): Souvenir de Florence, Sestetto d'archi, op. 70

    Edited by C@te - 9/7/2014, 16:35
     
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    Ho letto la sua biografia. Non sapevo fosse omosessuale. certo che doversi nascondere, anche agli occhi della legge, non solo della morale, fa capire come i tempi siano cambiati in Europa (forse un po' meno in Russia). Doversi sposare per coprire le proprie inclinazioni...che cosa orribile
     
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    CITAZIONE (Kitty81 @ 22/7/2013, 14:53) 
    Ho letto la sua biografia. Non sapevo fosse omosessuale. certo che doversi nascondere, anche agli occhi della legge, non solo della morale, fa capire come i tempi siano cambiati in Europa (forse un po' meno in Russia). Doversi sposare per coprire le proprie inclinazioni...che cosa orribile

    beh, è già un passo avanti. Un tempo li mettevano al rogo
     
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    CITAZIONE (£ady @ 22/7/2013, 18:52) 
    CITAZIONE (Kitty81 @ 22/7/2013, 14:53) 
    Ho letto la sua biografia. Non sapevo fosse omosessuale. certo che doversi nascondere, anche agli occhi della legge, non solo della morale, fa capire come i tempi siano cambiati in Europa (forse un po' meno in Russia). Doversi sposare per coprire le proprie inclinazioni...che cosa orribile

    beh, è già un passo avanti. Un tempo li mettevano al rogo

    a beh, grazie! :D
     
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    CITAZIONE (Kitty81 @ 23/7/2013, 12:28) 
    CITAZIONE (£ady @ 22/7/2013, 18:52) 
    beh, è già un passo avanti. Un tempo li mettevano al rogo

    a beh, grazie! :D

    :hihi:

    Edited by C@te - 9/7/2014, 16:47
     
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    Morte di Pëtr Il'ič Čajkovskij

    Il 6 novembre del 1893, nove giorni dopo la prima esecuzione della sua Sesta Sinfonia, la Patetica, Pëtr Il'ič Čajkovskij morì a San Pietroburgo, all'età di 53 anni. La causa ufficiale della morte fu attribuita al colera, che con ogni probabilità avrebbe contratto bevendo acqua contaminata pochi giorni prima. Questa spiegazione fu accettata da molti biografi del compositore. Tuttavia, anche ai tempi di Čajkovskij, c'erano diversi interrogativi irrisolti su tale diagnosi.
    La successione cronologica degli eventi tra l'assunzione dell'acqua non bollita e il manifestarsi dei sintomi fu messa in dubbio. Analogo discorso per la possibilità che il compositore si fosse procurato acqua non bollita nel mezzo di un'epidemia di colera e nonostante le severe procedure igieniche in vigore. Oltre tutto, benché il colera affliggesse veramente la società russa a tutti i livelli, era considerato una malattia delle classi inferiori. Il conseguente stigma per un decesso del genere toccato a un personaggio della fama di Čajkovskij era notevole, al punto che la mera possibilità di un fatto simile era per molti inconcepibile. Non tutti considerarono attendibili i certificati medici dei due sanitari che avevano curato Čajkovskij. Suscitò altresì sospetti il trattamento del cadavere di Čajkovskij, asseritamente non conforme alle prescrizioni per le vittime di colera. Questo commento fu formulato dal compositore Nikolaj Rimskij-Korsakov nella sua autobiografia, benché il brano appaia censurato in alcune edizioni.
    Emersero presto teorie che riconducevano a suicidio la morte di Čajkovskij. Le supposizioni spaziavano dall'atto inconsulto da parte del compositore all'ordine impartito dallo zar Alessandro III di Russia, e le fonti delle dicerie andavano dai membri della famiglia Čajkovskij al compositore Aleksandr Glazunov. Dal 1979, una variante della teoria ha guadagnato un po' di terreno: una sentenza di suicidio imposta a Čajkovskij da una "corte d'onore" formata dai suoi ex compagni di studio presso la Scuola imperiale di giurisprudenza come censura per l'omosessualità del compositore. Nondimeno, la causa della morte di Čajkovskij resta fortemente controversa.

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    Ultimi giorni

    Il biografo Aleksandr Poznanskij scrive che il 1º novembre 1893 (mercoledì 20 ottobre nel calendario giuliano ortodosso) Čajkovskij era andato a teatro a vedere la commedia di Ostrovskij Un cuore ardente. Successivamente, si era recato con suo fratello Modest, suo nipote Vladimir Davydov, detto "Bob", il compositore Glazunov, ed altri amici in un ristorante chiamato Leiners, sito nella Casa Kotomin, sulla Prospettiva Nevskij, San Pietroburgo. Durante la cena, Čajkovskij ordinò un bicchiere d'acqua. Poiché era scoppiato il colera in città, la normativa igienica imponeva che l'acqua servita nei ristoranti fosse preventivamente bollita. Il cameriere informò Čajkovskij che non era disponibile acqua bollita. Viene riferito che allora chiese dell'acqua fredda non bollita, che venne portata. Poiché il resto della compagnia lo sconsigliava di bere acqua non bollita, il compositore rispose di non temere il contagio, e bevve in ogni caso la sua acqua.

    Tchaikovsky_on_his_deathbed%2C_1893

    La salma di Čajkovskij appena composta

    Il mattino seguente, nell'appartamento di Modest, Pëtr non si presentò in soggiorno per bere tè a colazione come suo solito, ma restò a letto lamentando diarrea e stomaco sottosopra. Modest propose di chiamare un medico, ma Čajkovskij rifiutò, prendendo piuttosto dell'olio di fegato di merluzzo, senza trarne alcun giovamento. Tre giorni più tardi, era preda di una crisi di colera in piena virulenza. Le sue condizioni precipitarono, ma rifiutò ancora l'intervento medico. Dopo tanto indugio si mandò a chiamare un dottore, che però non fu trovato a casa, perciò se ne cercò un altro. La diagnosi di colera fu alla fine formulata dal dottor Lev Bertenson. Nel frattempo, ebbe un illusorio miglioramento, seguito da un catastrofico peggioramento progressivo. I suoi reni iniziarono a cedere. Fu chiamato un sacerdote dalla cattedrale di Sant'Isacco per amministrargli l'estrema unzione, ma il compositore era ormai troppo malridotto per comprendere quel che gli capitava. Morì verso le ore 03.00 del 6 novembre 1893.
    Dopo la sua morte si diffuse la voce che si fosse trattato in realtà di un suicidio, forse con l'arsenico, motivato dal timore di Čajkovskij che le sue inclinazioni omosessuali fossero scoperte, con conseguenze di tipo penali, oltre al disonore che avrebbe colpito la famiglia e il Conservatorio. L'ipotesi, mai confermata ma neanche messa da parte, si fonda sul fatto che durante il funerale, la bara di Čajkovskij fu lasciata girare aperta per la città, cosa inaudita per una morte avvenuta a seguito di una grave malattia infettiva.

    Dopo la morte

    Nikolai Rimsky-Korsakov pensava che i procedimenti seguiti alla morte di Čajkovskij fossero strani per una vittima di colera.
    Il biografo di Čajkovskij David Brown sostiene che anche prima che i referti dei dottori sulla morte fossero apparsi, quel che successe nell'appartamento di suo fratello Modest era stato del tutto incoerente con le procedure standard per una morte di colera. Le regole apposite imponevano che il cadavere dovesse essere rimosso immediatamente dal luogo della morte in una bara chiusa. Viceversa, le spoglie di Čajkovskij furono esposte nell'appartamento di Modest, perché ricevessero liberamente la visita delle persone che intendevano rendere loro l'ultimo omaggio. Fra gli astanti, il compositore Nikolaj Rimskij-Korsakov diede l'impressione di essere sconcertato da ciò che vide: "Com'era strano, nonostante la morte cagionata da colera, chiunque poteva partecipare alla messa funebre! Ricordo come [Alexander] Verzhbilovich [violoncellista e professore al conservatorio di San Pietroburgo], completamente ubriaco … continuava a baciare il morto sulla testa e sul volto."

    I commenti dello stesso Rimskij-Korsakov, però, sarebbero parsi in disaccordo con le sue azioni come successivamente riferito da Sergej Djagilev. Djagilev, che avrebbe conquistato la notorietà come fondatore ed impresario dei Balletti russi, all'epoca era uno studente a San Pietroburgo ed aveva conosciuto il compositore, di cui era lontano affine, e con cui aveva fatto conversazione qualche volta. All'udire della morte di Čajkovskij, rammenta Djagilev,

    «In preda alla disperazione corsi fuori dalla casa, e sebbene mi rendessi conto che Čajkovskij era morto di colera andai dritto a Malaja Morskaja, dove abitava. Le porte erano spalancate e non c'era nessuno sulla soglia…. Sentii voci da un'altra stanza, ed entrando vidi Pëtr Il'ič in frac nero steso su un sofà. Rimskij-Korsakov e il cantante Nikolaj Figner stavano sistemando un tavolo per adagiarvelo sopra. Sollevammo il corpo di Čajkovskij, io lo tenevo per un piede, e lo lasciammo sul tavolo. Noi tre eravamo i soli nell'appartamento, perché dopo la morte di Čajkovskij l'intera famiglia si era allontanata….»



    Poznansky obietta alle argomentazioni di Brown con alcune proprie. Sostiene che, malgrado il commento di Rimskij-Korsakov, non c'era niente di strano nell'accaduto. Scrive che nonostante un pregiudizio duro a morire, l'opinione medica prevalente fosse che il colera era meno contagioso di quanto supposto in precedenza. Benché dapprima il contatto con masse di persone fosse stato dapprima sconsigliato, il Consiglio Medico Centrale nella primavera del 1883 permise espressamente cerimonie pubbliche e riti connessi ai funerali delle vittime di colera. Inoltre, l'opinione medica riportata dalla Gazzetta di Pietroburgo affermava che Čajkovskij era morto per successiva infezione del sangue, non per il morbo in sé. (Risulta che l'epidemia si fosse arrestata venerdì 3 novembre, tre giorni prima del trapasso del compositore.) Con la precauzione aggiuntiva di una costante disinfezione delle labbra e delle narici del corpo, a detta di Poznansky, nemmeno il violoncellista ubriaco che sbaciucchiava la faccia del morto aveva un granché da preoccuparsi.

    Alessandro III si offrì di pagare personalmente le spese del funerale del compositore e incaricò la Direzione dei Teatri Imperiali di organizzare la cerimonia. Secondo Poznansky, questo gesto dimostrò la straordinaria considerazione che lo Zar tributava al compositore. Solo due volte in precedenza un sovrano russo aveva mostrato tanto favore verso una personalità artistica o accademica scomparsa. Nicola I aveva scritto una lettera al poeta Aleksandr Puškin agonizzante dopo uno sciagurato duello. Sempre Nicola rese personalmente omaggio alla salma dello storico Nikolaj Michajlovič Karamzin il giorno prima della sua sepoltura. Per di più, Alessandro III concesse in via eccezionale che le esequie di Čajkovskij fossero celebrate nella cattedrale di Kazan'.
    I funerali di Čajkovskij ebbero luogo il 9 novembre 1893 a San Pietroburgo. La cattedrale di Kazan contiene 6 000 persone, ma in 60 000 richiesero il biglietto per assistere alla funzione. Alla fine, 8 000 persone vennero stipate in qualche modo all'interno. Il compositore fu tumulato nel cimitero Tichvin, presso il monastero di Aleksandr Nevskij, vicino alle tombe dei suoi colleghi Aleksandr Borodin, Michail Glinka e Modest Petrovič Musorgskij; successivamente vi avrebbero trovato asilo anche le spoglie mortali di Rimskij-Korsakov e Milij Balakirev.

    Il colera in Russia

    Il biografo Anthony Holden scrive che il colera era arrivato in Europa meno di un secolo prima della morte di Čajkovskij. Un'iniziale pandemia colpì il continente nel 1818. Ne erano seguite altre tre ed una quinta, iniziata nel 1881, stava infuriando. La malattia era stata importata da pellegrini di Mumbai in Arabia e da lì aveva attraversato il confine russo.
    I primi casi di questa pandemia in Russia furono registrati a Vladivostok nel 1888. Verso il 1892, la Russia era di gran lunga nella situazione peggiore tra i 21 paesi funestati. Nel 1893, non meno di 70 regioni e province stavano combattendo l'epidemia.
    Holden aggiunge che, stando ai rapporti medici russi dell'epoca, la specifica epidemia che costò la vita a Čajkovskij iniziò il 14 maggio 1892 e terminò l'11 febbraio 1896. In questo intervallo di tempo, 504 924 persone contrassero il colera; di costoro, 226 940 (44,9%) ne morirono.

    Stigma sociale
    Perfino con cifre così imponenti, l'attribuzione al colera della morte di Čajkovskij fu sorprendente per molti quanto la repentinità della sua scomparsa. Anche se il colera toccava tutti i livelli della società, era ampiamente considerato una malattia dei poveri. Lo stigma rese il colera una modalità di decesso volgare e socialmente svilente. Il fatto che Čajkovskij fosse morto per tale causa sembrò degradare la sua reputazione presso le classi superiori e colpì molti come un evento inconcepibile.
    Coerentemente con la sua supposta natura, l'esordio dell'epidemia di colera iniziata nell'estate 1893 a San Pietroburgo era stato circoscritto principalmente ai bassifondi della città, in cui i poveri "vivevano in condizioni malsane di affollamento, nell'inosservanza delle condizioni mediche più elementari." Il morbo non interessava le famiglie più influenti e beneducate perché rispettavano i protocolli medici che vietavano l'uso o l'assunzione di acqua non bollita. Inoltre, l'epidemia aveva iniziato ad eclissarsi all'arrivo del freddo clima autunnale. Il 13 ottobre, furono riferiti 200 casi di colera. Arrivati al 6 novembre, giorno della morte di Čajkovskij, questo numero si era ridotto a 68 casi, accompagnato da "un netto declino della mortalità". Sebbene questi dati fossero tratti da Novosti i Birževaja Gazeta, Poznansky li mette in discussione in quanto imprecisi.

    Ancora, l'amico di Čajkovskij Hermann Laroche raccontava che il compositore fosse scrupoloso nell'igiene personale. Nella speranza di non dover ricorrere a cure mediche, scrive Laroche, "faceva affidamento soprattutto sull'igiene, della quale sembrava (al mio occhio di profano) un vero maestro". La stampa appuntò la propria attenzione su questo, interrogandosi sulla morte della celebrità. "Come fece Čajkovskij, appena arrivato a Pietroburgo in eccellenti condizioni igieniche, a contrarre l'infezione?" chiese un inviato della Petersburg Gazette. Un altro cronista di Vita russa annotò, "Tutti sono stupefatti per la fulminante infezione di colera asiatico che ha stroncato un uomo così tanto ragionevole, misurato ed austero nelle sue abitudini quotidiane."

    Medici impreparati
    Holden sostiene che, essendo il colera raramente riscontrato negli ambienti elevati da costoro praticati, i medici Vasily e Lev Bertenson potevano non aver mai trattato (o forse neppure visto) un caso di colera prima di quello del compositore. Non si può escludere che le loro conoscenze sul morbo derivassero solo dai manuali di studio e da qualche articolo scientifico. Poznansky menziona una successiva dichiarazione di Vasilij Bertenson in cui riconosceva di "non essere mai stato testimone di un caso effettivo di colera", benché avesse ravvisato nel compositore un "caso classico" di quel male. Holden si domanda se la descrizione che Lev Bertenson fece delle condizioni di Čajkovskij scaturisse dalla sua osservazione del paziente o da quanto aveva letto in precedenza. Se fosse vera la seconda ipotesi, significherebbe che potrebbe aver usato la terminologia nella sequenza errata enunciando la diagnosi di Čajkovskij.

    Il bicchiere d'acqua non bollita
    Se Čajkovskij davvero contrasse il colera, è impossibile sapere esattamente quando o come si sarebbe infettato. I giornali pubblicarono racconti di parenti con le idee poco chiare sul fatto che Čajkovskij avesse bevuto un bicchiere di acqua non bollita al ristorante da Leiner. Modest, invece, lascia intendere che suo fratello abbia bevuto il bicchiere fatale nel suo (di Modest) appartamento durante il pranzo di giovedì. "Fu proprio nel mezzo della nostra conversazione sui trattamenti sanitari che egli si versò un bicchiere d'acqua e ne trasse un sorso. L'acqua non era stata bollita. Eravamo tutti allarmati: lui solo era indifferente al proposito e ci diceva di non preoccuparci."

    L'incubazione del colera dura da uno a tre giorni secondo alcune fonti scientifiche, e da due ore a cinque giorni secondo altre fonti. Si narra che Čajkovskij iniziò a presentare i sintomi alle prime ore di giovedì mattina. Se l'intervallo "da uno a tre giorni" è inteso come "da 24 a 72 ore", il compositore si sarebbe potuto infettare al più tardi mercoledì mattina, cioè prima sia della cena da Leiner quella sera, sia del pranzo da Modest il pomeriggio seguente.

    La possibilità che dell'acqua non bollita fosse disponibile in un ristorante del rango di Leiner fu una sorpresa per alcuni. "Troviamo estremamente strano che un buon ristorante possa aver "servito" acqua non bollita durante un'epidemia", scrisse un inviato del giornale Figlio della Patria. "Esiste, da quello che abbiamo acquisito, un decreto vincolante per cui esercizi commerciali, mense, ristoranti, ecc., dovevano tenere acqua bollita." Poznansky suggerisce che la stessa inverosimiglianza valga pure per il racconto di Modest.

    Ma non furono solo i cronisti ad esprimere perplessità su queste versioni dei fatti. Djagilev rammenta: "Vari miti si sono presto diffusi riguardo alla morte di Čajkovskij. Qualcuno ha detto che egli prese il colera bevendo un bicchiere d'acqua al ristorante Leiner. Certo, eravamo abituati a vedere Pëtr Il'ič che mangiava lì quasi ogni giorno, ma nessuno quella volta beveva acqua senza bollirla, e ci sembrò inconcepibile che lo avesse fatto Čajkovskij

    Teorie
    Colera da acqua inquinata
    Poznansky non esclude che Čajkovskij abbia contratto il colera bevendo acqua contaminata. Azzarda che Čajkovskij possa eventualmente averla bevuta prima della cena di mercoledì da Leiner, siccome il compositore usava bere acqua fredda durante i pasti. Su questo punto, concorda con Holden. Quest'ultimo aggiunge che forse Čajkovskij sapeva di aver contratto il colera prima della cena da Leiner mercoledì sera.
    Secondo Poznansky inoltre, nelle scorte idriche di San Pietroburgo il bacillo del colera era più diffuso di quanto si immaginasse comunemente prima della morte di Čajkovskij. Alcune settimane prima del trapasso del compositore, sia il fiume Neva sia il deposito d'acqua del Palazzo d'Inverno erano risultati contaminati, ed una commissione sanitaria speciale scoprì che alcuni ristoranti mescolavano acqua bollita e non bollita per non far attendere eccessivamente i clienti abituali che desideravano berla fresca.
    Allo stesso proposito, Poznansky sottolinea che Čajkovskij, già afflitto da disturbi gastrici giovedì mattina, bevve un bicchiere dell'alcalina acqua Hunyadi János cercando sollievo per il suo intestino. L'alcalinità di quell'acqua minerale avrebbe neutralizzato gli acidi nella pancia di Čajkovskij. Ciò avrebbe stimolato ogni bacillo di colera presente mettendogli a disposizione un ambiente più favorevole per svilupparsi.

    Colera per altro canale di contagio
    Richiamandosi allo specialista di colera dottor Valentin Pokovsky, Holden indica un altro modo in cui Čajkovskij potrebbe aver contratto il colera: la "via oro-fecale", connessa a pratiche sessuali igienicamente rischiose intercorse con prostituti a San Pietroburgo. Questa ipotesi fu avanzata autonomamente sul Times di Londra da quello che all'epoca era il suo specialista medico veterano, il dottor Thomas Stuttaford. Sebbene Holden ammetta che non vi siano prove a conforto della tesi, afferma che il caso sia stato proprio questo. Čajkovskij e Modest si sarebbero dati gran pena di mascherare la verità. Potrebbero aver messo in scena la bevuta di acqua infetta da Leiner di comune accordo per amor di famiglia, amici, ammiratori e fama futura. Dato che Čajkovskij era stato in vita una sorta di venerato monumento nazionale, Holden suppone che i medici coinvolti nel caso di cui parliamo potessero aver assecondato tale versione edulcorata dei fatti, a scapito di una verità imbarazzante.

    Suicidio ordinato da una "corte d'onore"
    Un'altra teoria è stata portata all'attenzione pubblica dalla musicologa russa Aleksandra Orlova nel 1979, dopo essersi trasferita in Occidente. Il teste chiave per la ricostruzione di Orlova era Aleksander Voitrov, che avendo frequentato la Scuola di giurisprudenza prima della Grande Guerra avrebbe, a quanto si dice, raccolto una gran quantità di documenti su storia e persone collegate alla sua alma mater. Una di quelle persone era Nikolaj Borisovič Jacobi, Procuratore Capo al Senato negli anni 1890. La vedova di Jacobi, Elozabeta Karlovna, asseritamente raccontò a Voitrov nel 1913 che un certo duca Stenbok-Fermor era infastidito dall'attenzione che Čajkovskij dedicava al suo giovane nipote. Stenbok-Fernor scrisse allo zar nell'autunno del 1893 una lettera d'accusa, e la diede a Jacobi perché la consegnasse. Jacobi voleva evitare uno scandalo pubblico. Pertanto invitò tutti gli ex compagni di studi di Čajkovskij che riuscì a trovare a San Pietroburgo — otto persone in tutto — per costituire una "corte d'onore" che discutesse l'accusa. Questo incontro, svoltosi nello studio di Jacobi, si protrasse per almeno cinque ore. Čajkovskij schizzò fuori, pallido ed agitato, senza dire una parola. Quando se ne furono andati tutti, Jacobi disse alla moglie che avevano deciso che Čajkovskij si doveva uccidere. Dopo uno o due giorni da quest'incontro, a San Pietroburgo cominciarono a circolare voci sulla malattia del compositore.
    Orlova suppone che questa corte d'onore sia stata convocata il 31 ottobre. Questo è l'unico giorno in cui non si sa niente delle attività di Čajkovskij fino a sera. Brown insinua che forse c'è un motivo se Modest registra gli ultimi giorni di suo fratello da quella sera, quando Čajkovskij assistette all'opera di Rubinstein Die Makkabäer.
    Nel novembre 1993 la BBC mandò in onda un documentario intitolato Orgoglio o pregiudizio, che investigava su varie teorie riguardanti la morte di Čajkovskij. Tra gli intervistati erano Orlova, Brown e Poznansky, assieme a vari esperti di storia russa. Il dottor John Henry del Guy's Hospital, un consulente tecnico giudiziale che all'epoca lavorava alla British National Poison Unit ("Unità nazionale veleni britannica"), concluse nel documentario che tutti i sintomi riportati della malattia di Čajkovskij "sono ben accostabili all'avvelenamento da arsenico". Era notorio, suggerì, che diarrea acuta, disidratazione e insufficienza renale somigliavano alla manifestazione del colera. Questo avrebbe concorso ad avallare una credibile verosimiglianza della morte come un caso di colera. La conclusione raggiunta nel documentario propendeva largamente in favore della teoria della "corte d'onore".
    Altri autorevoli studi sul compositore hanno criticato però analiticamente le congetture di Orlova, e concluso che la morte del compositore dipese da cause naturali. Fra i vari punti deboli nella tesi di Orlova, Poznansky svelò che non esisteva alcun "duca Stenbock-Fermor", bensì c'era un conte con quel nome. Tuttavia, costui vantava il titolo di "scudiero dello zar" Alessandro III, pertanto non avrebbe avuto bisogno di un intermediario per recapitare una lettera a quello che in sostanza era il suo "capo" diretto. Quanto alla supposta minaccia per la reputazione della Scuola di giurisprudenza di San Pietroburgo, rappresentata dalle relazioni omosessuali di Čajkovskij, Poznansky raffigura la scuola come un focolaio della dissolutezza allignante in un microcosmo esclusivamente maschile, che aveva addirittura un suo canto inneggiante alle delizie dell'omosessualità.

    Suicidio ordinato dallo zar
    Un'altra teoria sulla morte di Čajkovskij è che sia il risultato di un ordine dello stesso zar Alessandro III. Questa storia fu narrata dal musicista svizzero Robert Aloys Mooser, che si crede l'abbia appresa da altri due colleghi: Riccardo Drigo, compositore e maestro di cappella presso i Teatri imperiali di San Pietroburgo, ed il (già nominato) compositore Aleksandr Glazunov. Secondo tale ricostruzione, il compositore aveva sedotto il figlio del custode del condominio di suo fratello Modest. Per molti il racconto è plausibile, perché viene riferito che Glazunov lo confermò reiteratamente. Mooser considerava Glazunov un teste attendibile, ponendone in risalto il suo "retto carattere morale, la venerazione per il compositore e l'amicizia con Čajkovskij". Più recentemente lo studioso francese André Lische ha confermato la confessione di Glazunov. Il padre di Lische studiava a Pietrogrado negli anni 1920. Glazunov confidò questo racconto al padre di Lische, che a sua volta lo tramandò al figlio.
    Tuttavia, oppone Poznansky, Glazunov non avrebbe potuto confermare il racconto del suicidio se non fosse stato assolutamente certo della sua verità. Il solo modo in cui ciò fosse possibile, però, sarebbe stato se glielo avesse raccontato qualcuno della cerchia più ristretta tra i frequentatori di Čajkovskij; in altre parole, qualcuno che fosse stato al capezzale di Čajkovskij nel suo letto di morte. Era al contrario esattamente questa cerchia di intimi che Drigo accusava di aver occultato la "verità", invocando false testimonianze da autorità, medici e preti. Solo obbligando Glazunov a giurare che avrebbe mantenuto il segreto più assoluto, qualcuno di quella cerchia avrebbe eventualmente rivelato la "verità". Che Glazunov abbia poi condiviso questa informazione con Mooser, conclude Poznansky, è virtualmente inconcepibile dato che ciò avrebbe compromesso del tutto Glazunov.

    Suicidio per atto inconsulto

    Un'altra versione sostiene che Čajkovskij stesse attraversando un periodo di profonda crisi. Questa crisi era precipitata, secondo certi racconti, a causa della sua infatuazione per il nipote Vladimir Davydov, che era spesso chiamato "Bob" dalla famiglia Davydov e dal compositore. Questa sarebbe la spiegazione degli struggimenti contenuti nella Sesta, ed anche il mistero che circonda il suo impianto generale. Molti analisti, elaborando questa premessa, hanno di conseguenza letto la Patetica come intensamente autobiografica. Secondo questa teoria, Čajkovskij si rese conto dell'intera portata dei suoi sentimenti per Bob, oltre all'improbabilità del loro appagamento fisico. Si suppone quindi che abbia riversato la sua infelicità su questo capolavoro finale come se fosse stato un consapevole preludio al suicidio, poi abbia bevuto acqua non bollita nella speranza di contrarre il colera. Così, come quando sembrò scivolare nella Moscova nel 1877 in preda alla disperazione per il suo matrimonio, Čajkovskij poteva tentare il suicidio senza gettare discredito sulla sua famiglia.

    Nessuna prova decisiva
    Senza alcuna valida dimostrazione per nessuno di questi casi, è verosimile che non si potrà mai trarre alcuna conclusione certa e che la natura della fine del compositore non potrà mai essere conosciuta. La prova definitiva, propone Holden, comporterebbe la riesumazione del cadavere di Čajkovskij per gli esami tossicologici atti a determinare la presenza di arsenico, com'è avvenuto per il corpo di Napoleone Bonaparte, posto che l'arsenico può lasciar tracce sul corpo umano anche per 100 anni. Scrive il musicologo Roland John Wiley, "La polemica sulla morte [di Čajkovskij] ha raggiunto uno stallo … Le dicerie collegate alle celebrità sono dure a morire … Quanto all'ipotesi della malattia, i problemi probatori dànno poca speranza di soluzione soddisfacente: lo stato della diagnosi; la confusione delle testimonianze; la sottovalutazione degli effetti di lungo termine del fumo e dell'alcol. Non sappiamo come sia morto Čajkovskij. Non ne verremo mai a capo…."
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    Famoso il suo Concerto n° 1 per i pianoforte ed orchestra op. 23, ricordo sempre con piacere la versione di Horowitz e Czell suonata a super velocità.




    Trio per piano, violino e violoncello op. 50


    lol 3 mostri


    La sinfonia n°5



    The Seasons - 20 pezzi per piano op 37a



    Dal balletto dello schiaccianoci

    Pas de deux


    Il valzer dei fiori


    Danza dei piccoli cigni



    Walzer - Serenade of string op 48
     
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