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I nuclei familiari a guida femminile: le mamme lesbiche
Nell’ultimo numero della rivista Psicologia contemporanea compare un interessante articolo a firma di
Anna Oliverio Ferraris e Alessandro Rusticelli, sui nuovi modelli di famiglie al femminile; quelle condotte
da madri lesbiche e quelle guidate da madri single.
Come scriveva Emile Durkheim, più di un secolo fa, non esiste un modello di essere e di vivere che sia
migliore per tutti e la famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa perché
le circostanze sono diverse. Niente appare più attuale delle parole del sociologo francese se si pensa alle
evoluzioni che hanno cambiato la famiglia in questi ultimi cento anni. In questo primo articolo sui nuclei
familiari femminili prenderemo in considerazione forse il caso più controverso, quello che in questi tempi
di pacs, affidi ed adozioni sta facendo discutere e legiferare i parlamenti di molti paesi: le famiglie di
mamme lesbiche.
Stando a Psicologia Contemporanea, i nuclei omosessuali con prole sono presenti in molti paesi
occidentali. Una rilevazione statunitense rivela che nel 33% delle coppie omosessuali femminili e nel 22%
di quelle maschili sono presenti uno o più figli. Tutto questo ha determinato un forte coinvolgimento delle
istituzioni che, a cominciare dai paesi scandinavi, per finire con la cattolicissima Spagna, hanno deciso di
tutelare i diritti degli omosessuali che scelgono di costruire una famiglia ed avere dei figli tramite
fecondazione artificiale o tramite adozione.
Quella di una coppia omosessuale è certamente un’altra genitorialità. Le domande che tutti si pongono, a
cominciare dai soggetti coinvolti, sono fondamentalmente le stesse. Avere due madri e due padri crea
problemi nella regolarità dello sviluppo emotivo e relazionale dei figli? Le coppie omosessuali possono
ostacolare la loro identificazione sessuale? Fino a che punto i ruoli paterno e materno possono essere
interscambiabili?
Gli studi fino ad oggi svolti nei paesi anglosassoni sembrano evidenziare quanto segue:
- I genitori omosessuali sono generalmente in grado di svolgere adeguatamente le funzioni parentali, non
peggio dei genitori eterosessuali; non spingono i figli verso l’omosessualità, ma cercano di fornire modelli
di identificazione eterosessuale;
- I problemi che possono presentarsi nel nucleo omosessuale derivano principalmente dalle irregolarità dal
punto di vista legale e dalla atipicità agli occhi della società ed assomigliano a quelli che incontrano le
coppie eterosessuali non sposate o i nuclei monoparentali;
- Non è invece facile per i figli, quando sono già un po’ cresciuti, affrontare un eventuale cambio di sesso
del genitore o di entrambi: questa eventualità necessita di un notevole ‘lavoro’ psicologico.
In Italia è stata realizzata un’indagine su 22 madri lesbiche (11 coppie) di età fra i 23 e i 55 anni ed i loro
figli di età fra i 2 ed i 35 anni. Di questi figli, 10 erano stati concepiti attraverso fecondazione assistita,
mentre i restanti 6 erano nati da una precedente relazione eterosessuale. Le risultanze essenziali di questi
colloqui guidati sono state le seguenti:
- una diffusa soddisfazione riguardo alla loro vita di coppia e alla scelta fatta;
- un atteggiamento fiducioso nella propria famiglia anche se registrano la diffidenza del mondo esterno e la
difficoltà a parlare ai figli della loro omosessualità;
- un’attenzione, spesso superiore alla media, nei confronti dei figli ed un notevole impegno ad educarli con
tolleranza per tutte le diversità, risultando in tal senso meno tradizionalisti dei genitori eterosessuali;
- un gran coinvolgimento nel settore dei diritti con propensione alla vita associativa per rivendicare e
ottenere riconoscimenti istituzionali ai ruoli assunti e per proteggere i diritti dei propri figli.
I punti di fragilità sono di diversa natura. Anche se il clima è sereno, rivelare al figlio la propria
omosessualità è spesso uno degli ostacoli più difficili da superare anche perché sembra scatenare nei figli
un sentimento di rivalità, nei confronti dell’altro, non facili da esplicitare. I figli di madri lesbiche tendono
ad essere molto protettivi e ne consegue che spesso sono gelosi delle loro compagne. Un altro problema è il
confronto con il mondo esterno, un mondo non ancora preparato a questo nuovo tipo di famiglia. Uno dei
figli intervistati, una ragazza di 12 anni, lamenta il fatto che i suoi compagni considerano la parola
“omosessuale” una presa in giro o un dispregiativo. Ne consegue che la ragazza, che mai ha vissuto
l’omosessualità della madre come una vergogna ma solo come una diversità del tutto accettabile, si è
trovata a provare vergogna per la madre stessa, per la sua omosessualità.
Anche il fatto che la figura materna e quella paterna siano intercambiabili non è un fatto del tutto accettato.
Se questo discorso vale per le cure parentali e per il coinvolgimento affettivo, il problema
dell’identificazione nel corso dello sviluppo rimane una grossa incognita. Spesso le due mamme lesbiche
tendono a creare un clima iperprotettivo e, se il bambino è di sesso maschile, l’esigenza di relazionarsi con
delle figure maschili simili a lui è ancora più forte. Questo è un problema che molte coppie hanno risolto
allargando la propria famiglia a modelli maschili ‘esterni’ come nonni, zii, amici: una scelta oculata che si
rivela molto utile fino al raggiungimento della maggiore età del ragazzo. Resta comunque vero che anche
nelle famiglie tradizionali non sempre il padre rappresenta un valido modello alternativo: può essere
assente, non sufficientemente coinvolto nella vita del figlio oppure coinvolto ma ancora più preoccupato e
iperprotettivo di una madre.
Nelle famiglie omosessuali c’è molta differenza tra i bambini nati da precedenti unioni e quelli da
fecondazione assistita. Il ricorso ad un donatore sconosciuto è prevalente nelle coppie soggette a questa
indagine, scelta dettata dalla paura che in un secondo tempo il padre naturale possa avanzare dei diritti sul
bambino. Una coppia di mamme lesbiche che ha avuto un bambino con il metodo della fecondazione
assistita ha effettuato l’operazione in Olanda, ben consapevole che la legge locale prevede che l’identità del
donatore sia rivelata al figlio quando questi ha compiuto la maggiore età. Le due mamme considerano
questa legge ‘giusta’ perché se è loro diritto non dover dividere la genitorialità con un donatore è diritto del
figlio quello di poterlo, un giorno, identificare.
I bambini nati da fecondazione assistita sono informati molto presto sulle modalità del loro concepimento.
Alcune mamme intervistate hanno scelto di raccontare al figlio, o alla figlia, una favola che narra di un
dono, da parte di un estraneo, per permettere alle due mamme, che autonomamente non possono farlo, di
avere un bambino.
I bimbi riescono ad accettare, finché piccoli, queste spiegazioni senza porre domande e riducendo il
donatore ad un’anonima cellula: spiegare l’assenza del padre diventa più difficile per queste mamme
quando i figli crescono.
Di questa considerazione sono testimonianza alcuni disegni che suggeriscono come intorno ai 6-7 anni i
bambini comincino a porsi domande più consapevoli circa la loro diversità rispetto alla situazione familiare
dei coetanei.
Un bambino di 5 anni, che chiameremo Fabio, ha disegnato se stesso in mezzo alle sue due mamme, che si
tengono per mano, fornendo un’immagine di famiglia allegra e colorata. A sei anni, il disegno di Fabio è
bianco e nero, una delle sue mamme è scomparsa e al suo posto, ma molto a distanza, c’è un papà-robot con
grossi piedi di mattoni. Al paesaggio agreste del primo disegno si sostituisce un vuoto di ambientazione che
indica la difficoltà del bambino a collocare i suoi personaggi in un contesto significativo.
È molto naturale che un bambino, arrivato ad una certa età, cominci a fantasticare sull’identità del donatore.
I significati che gli attribuirà saranno poi ancora più impegnativi e affettivamente rilevanti se il bambino
sarà privato anche di altre figure maschili con cui interagire e confrontarsi nel suo quotidiano. Due delle
madri intervistate hanno accettato fin dall’inizio il problema prevedendo che, quando la loro figlia chiederà
di conoscere il donatore e ciò non sarà possibile, si affideranno a uno psicologo per una consulenza
adeguata. Per i bambini, la necessità di sapere di più sull’origine di uno dei genitori non è tanto un’esigenza
emotiva ma piuttosto un’esigenza cognitiva: un desiderio di chiarezza. Sebbene il vero genitore non sia
quello biologico, ma quello che alleva ed educa i figli, è comunque inevitabile che, nel ricostruire il proprio
percorso individuale, una persona cerchi di mettere insieme tutti i tasselli della propria vicenda esistenziale.
Quando una delle tessere manca, anche se si è bene adattati alla propria condizione, anche se si è felici, si è
spinti a cercarla.
Bibiliografia:
Omosessuali Moderni, Barbagli M, Colombo – Il Mulino 2001
Mamme e Papà omosessuali, Bonaccorso M. – Editori riuniti 1994
Il terzo genitore: vivere con i figli dell’altro, Oliverio Ferraris A. - Raffaello Cortina 1997
Stampato da
www.officinagenitori.org
il 01/08/2013. -
hofner70.
User deleted
mah è un argomento molto delicato che non si può esaurire in un post... è molto facile urtare la sensibilità di altre persone... ragion per cui non me la sento di dare una mia opinione. . -
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Sinceramente non conosco mamme lesbiche (ma nemmeno omosessuali in genere, vivendo in un paesino. Oddio, almeno credo )
Si dice sempre che l'ideale è che il bambino cresca con un padre ed una amdre, ma credo che la cosa più importante sia dare ai figli amore, educazione, regole e un esempio morale. Ci sono madri single che hanno cresciuti figli eccezzionali, padri separati che sono adorabili e coppie "felicemente" sposate che prenderei a martellate sulla gengive. -
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Sinceramente...non so cosa dire.
Personalmente non conosco né coppie lesbiche né tantomeno lesbiche con figli.
credo che una figura paterna o cmq maschile sia necessaria (che può essere un nonno, uno zio eccetera). -
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Kitty è la mia migliore amica e non mi sognerei mai di giudicarla. Però mettere al mondo figli in un contesto "anomalo" non potrebbe esporli ad episodio di discriminazione?
Non dico che sia un gesto egoista, vista la situazione ogni figlio messo al mondo è una follia al momento. -
.CITAZIONEPerò mettere al mondo figli in un contesto "anomalo" non potrebbe esporli ad episodio di discriminazione?
scriverò una banalità, ma i bambini sanno essere molto crudeli (gli sfottò ai grassi, per esempio), ma anche molto aperti. Infatti i bambini non sono razzisti. è l'influenza dei genitori a rovinarli. -
FiammaAeterna.
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cazzate dettate dalla lobby gay . -
AmySaf.
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ah sì, una lobby pazzesca, visto che non abbiamo nemmeno uno straccio di diritto.CITAZIONE (necronomicon @ 29/8/2013, 12:57)Kitty è la mia migliore amica e non mi sognerei mai di giudicarla. Però mettere al mondo figli in un contesto "anomalo" non potrebbe esporli ad episodio di discriminazione?
può essere, ma sta a noi madri fornire un esempio inattaccabile agli occhi delle famiglie tradizionali.. -
Spellbound.
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fino a qualche anno fa pure i figli dei divorziati venivano visti come delle specie di alieni, credo sia solo una questione di tempo . -
FiammaAeterna.
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ah, già, volete sposarvi, magari in chiesa, come vuole Vendola. -
AmySaf.
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queste sparate le lascio al caro Nicky (che di cazzate ne dice parecchie, gay o meno in questo caso non importa).
Semplicemente vogliamo dei diritti!. -
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Non sprecare tempo.
Il camerata è stato bannato. -
AmySaf.
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ah, ok . -
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Cmq, dopo alcuni mesi, voglio dire la mia, dando un interpretazione scientifica. Secondo me alla base gli studi sono sfalsati da problemi di statistica e di campioni diffenti come paragone.
Cercherò di essere un po' più chiaro e fare dei punti.
Potenzialmente, una famiglia eterogenitoriale ed una omogenitoriale si equivalgono, e fin qui tutto ok. Nei fatti, gli studi di questo tipo, promuoveranno a ragione sempre le coppie omogenitoriali e non certo per ragioni ideologiche.
Mi spiego nei dettagli:
- una coppia omosessuale non si improvvisa mai famiglia, il passaggio non è mai casuale e, soprattutto, non avviene da un giorno all’altro. Diventa famiglia perché lo vuole, lo pianifica. Nel campione delle famiglie eterogenitoriali ci saranno senz’altro famiglie pianificate, ma fanno media pure i casi di gravidanze inaspettate o non desiderate. Non che in questi casi le coppie si rivelino automaticamente dei flop come genitori eh, però mi sembra innegabile che le coppie che pianificano (sia etero che omo) una famiglia siano psicologicamente più preparate a diventare genitori delle famiglie “per caso”, o almeno hanno una stabilità affettiva ed economica maggiore.
- le coppie omosessuali non diventano famiglia in età precoce, fanno media tra gli etero pure i casi tipo “16 and pregnant” (non che per forza i genitori adolescenti siano pessimi, però, inzomma)
- le famiglie omogenitoriali spesso adottano, scelgono la strada dell’inseminazione. Queste soluzioni non sono propriamente economiche (ed è inutile negare che il tenore delle famiglie più benestanti assicuri più possibilità per il futuro dei figli)… inoltre per l’adozione (anche ammesso che gli intermediari non adottino criteri più selettivi nel caso di coppie gay) intervengono assistenti sociali che monitorano costantemente i genitori, i quali risulteranno in caso di approvazione una coppia appunto stabile (discorso che vale pure per le coppie etero che ricorrono alla provetta o adottano)
- una coppia di genitori gay proprio perché sa che potrebbe essere oggetto di bullismo e discriminazione, prepara i propri figli all’eventualità e li educa alla tolleranza del diverso.
Se paragonassero le famiglie omogenitoriali con quelle etero che hanno pianificato le loro gravidanze e nascite, credo che i dati sarebbero identici
Conclusioni: se gli studi indicano che le coppie gay creano famiglie qualitativamente superiori non è per partito preso. Se ad esempio lo studio riguardasse tutte le famiglie “pianificate”, la situazione tornerebbe in parità.. -
Emperor86.
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CITAZIONEprepara i propri figli all’eventualità e li educa alla tolleranza del diverso.
loro sono preparati, ma gli altri?.