Come funziona la Scienza.

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    Come funziona la Scienza.



    In questo articolo non parlerò, se non marginalmente, del metodo scientifico.

    Questo per due motivi: il primo è che questo, per quanto serve sapere per leggere l’articolo, è parte del bagaglio culturale che dovrebbe essere fornito dalla scuola primaria, e in ogni caso è facilmente reperibile da molte fonti; il secondo è che il metodo scientifico in se merita un articolo a parte che (forse) scriverò poi.

    Parlerò, invece, del metodo della scienza, partendo da una semplice affermazione.

    Gli asini possono volare.

    Sì. Supponiamo che io sia uno scienziato, e che io sostenga che gli asini volano.

    Rimossi i trucchetti dialettici che certo non appartengono alla scienza (ok, se metto un asino su una mongolfiera o su un aereo indubbiamente vola, anche se lo lancio con una catapulta un po’ vola, ma non è di quello che parliamo) ho un problema: devo dimostrarlo e convincere la comunità scientifica, cioè gli altri scienziati che, in effetti, gli asini in alcune condizioni volano.

    Se stessi propugnando la mia teoria su Facebook o YouTube, o se stessi facendo una trasmissione televisiva, forse basterebbe una di queste affermazioni:

    Ieri ne ho visto uno volare.

    Lo sanno tutti che gli asini volano.

    Mio cugino li ha visti volare molte volte.

    Ho dieci testimoni che li hanno visti volare.


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    Ebbene, questo nel mondo della scienza non funziona.

    In primo luogo la mia tesi deve essere, almeno teoricamente, plausibile. Ma neanche più di tanto: all’ovvia obiezione che gli asini non hanno le ali potrò semplicemente rispondere che un asino, se sufficientemente motivato, girerà vorticosamente la coda e volerà come un elicottero.

    Questo per spiegare che, anzitutto, non mi posso inventare una teoria del genere dalla sera alla mattina. Quantomeno devo avere cognizione di quel che dico. Diciamo che ci devo pensare su un po’ e conoscere le basi della materia di cui parlo.

    A quel punto dovrò definire il modo in cui si può confermare, o smentire, la mia tesi.

    Dire “l’asino vola se sufficientemente motivato” non è certo sufficiente come definizione dell’esperimento. Potrei piuttosto dire che: “Se prendo un asino, lo lascio a digiuno per una settimana (è solo un’ipotesi eh, non farei mai una cosa del genere a un asino!) e poi gli metto del cibo su un trespolo alto 10 metri quello, in generale, volerà sul trespolo”.

    Dopo ho un altro dovere se son convinto della mia tesi: provarci. Ossia fare l’esperimento.

    In genere per evitare rischi non lo farò con un asino solo: se non funzionasse potrebbe essermi capitato un asino particolarmente stupido o insensibile alla fame, se funzionasse qualcuno potrebbe contestarmi che in realtà è stata una tromba d’aria a farlo finire sul trespolo. Quindi diciamo che farò il mio esperimento con dieci asini.

    Prendo dieci asini, in posti diversi e in condizioni climatiche diverse.

    Li lascio senza mangiare per una settimana.

    Li metto ognuno davanti a un trespolo alto dieci metri con sopra del cibo.

    Osservo quanti asini volano sul trespolo.

    Considero significativo che almeno la metà degli asini voli sul trespolo e raggiunga il cibo.

    Ora vi dico che il mese scorso ho fatto questo esperimento, e che sette asini hanno effettivamente ruotato vorticosamente la coda e sono arrivati sul trespolo.

    Siete convinti? No eh, ok.

    Però adesso supponiamo che io vi dica che l’esperimento è stato fatto davanti a 10 testimoni; che abbiamo lavorato in equipe io, un veterinario e un fisiologo esperto di code di asino, un fisico e quattro ingegneri; che l’esperimento è stato filmato e che abbiamo verificato ogni possibile interferenza; e poi che vi fornisca ogni dettaglio di come abbiamo fatto l’esperimento, dalla razza di asino al peso … tutto, in ogni dettaglio.

    In più immaginate che vi produca una relazione dove il veterinario spiega che gli asini hanno dei muscoli apposta capaci di fare girare la coda a una certa velocità, gli ingegneri mostrano i calcoli che spiegano come questa velocità generi un vortice sufficiente a sollevare l’asino, eccetera.

    Dovete iniziare ad avere qualche dubbio.

    Certo, in tutta onestà ci sono anche due cose che sicuramente terrete in considerazione, anche se non dovrebbero essere i vostri primi parametri di valutazione: quanto credibile sono io (diciamo che se sono il massimo esperto mondiale di asini posso anche provare a convincervi di una cosa del genere); e quanto ragionevole è la mia teoria sulla base delle conoscenze attuali (se vi dico io che volano gli asini sarà davvero dura, se vi dico che una gallina può volare per un chilometro senza toccare terra sarà ancora dura ma… più digeribile).

    Comunque, nel dubbio, cosa potreste fare?

    Anzitutto potreste consultare un veterinario e chiedergli se la mia spiegazione che gli asini hanno dei muscoli specifici per fare girare la coda vorticosamente è vera, poi potreste sentire un fisico e chiedergli se il vortice generato dalla rotazione potrebbe effettivamente sollevare l’asino, e così via. Ovviamente gli esperti li scegliereste voi, senza dirmi prima chi sono, tanto così, per sicurezza. Anzi non mi direte chi erano nemmeno dopo aver chiesto il loro parere.

    Supponiamo poi che tutti gli “esperti” da voi consultati vi dicano “sì, è proprio ragionevole che sia vero, per come spiega che ha fatto l’esperimento e per i risultati che ha ottenuto è ragionevole sostenere che gli asini volano, e questa è una gran bella scoperta!”. Magari qualcuno degli esperti potrebbe aver deciso di rifare l’esperimento, o di chiedermi di verificare alcune cose, ma comunque alla fine si sono convinti.

    Rendereste pubblica la mia ipotesi?


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    Io credo di sì, in fondo vi ho fornito tutte le informazioni necessarie per consentire a chiunque di ripetere l’esperimento. La mia tesi inizia ad avere la consistenza di quella che in scienza si chiama una teoria.

    Ecco, a quel punto voi che siete quelli che decidono cosa pubblicare su una rivista scientifica (gli editor), visto il papiro (paper) in cui spiego come ho dimostrato che gli asini volano, e sentiti privatamente gli “esperti indipendenti” delle materie coinvolte (i peer reviewer) sareste abbastanza convinti da dare un certo credito a quello che dico, e stamparlo sulla vostra rivista: pubblicate il mio studio.

    Badate bene: potrei ancora essere un pazzo, un visionario o uno squallido truffatore che ha inventato tutto, con tanto di video falso. In alternativa potrei semplicemente essermi sbagliato e non aver considerato qualcosa, qualcosa che è sfuggito anche ai reviewer ai quali avete chiesto un parere. Può succedere.

    Ma adesso il mio risultato è pubblico.

    Cioè visibile, visibile a tutti.

    E smentibile da chiunque.

    A questo punto centinaia di altri scienziati in giro per il mondo (esperti di asini, di code, di volo, di elicotteri, di trespoli) avrebbero tutte le informazioni per provare a rifare l’esperimento se gli garba, o se hanno un sospetto che qualcosa non quadri. Tutti possono farsi delle domande e tutti possono controllare.

    Magari qualcuno potrebbe provare a vedere se volano anche le capre o i cavalli e vedendo che non funziona chiedersi “ma perché gli asini sì e le capre no?”. Magari riprovando qualcuno potrebbe verificare che ahimé, anche facendo tutto come l’ho spiegato io, sti asini proprio non volano. Allora potrebbe mandare una lettera all’editor chiedendo di vedere il filmato originale e scoprire che… l’ho disegnato al computer ed era un falso!

    Se vengo smentito.

    Se ho barato o sbagliato… insomma, in un tempo ragionevolmente breve qualcuno se ne accorgerà, e in quel momento voi (l’editor) correreste a ritirare l’articolo con su scritto che gli asini volano. E badate bene che per farmelo ritirare non ci sarebbe bisogno di dimostrare che non volano, basterebbe dimostrare che la mia dimostrazione non era valida!

    In scienza tutto ciò che non è dimostrabile torna ad essere solo un’ipotesi (ci sarebbe qui da fare un lungo discorso sulle teorie generalmente accettate e sul metodo induttivo, ma avevo promesso di non fare un articolo sul metodo scientifico). In ogni caso se qualcosa non va l’articolo viene ritirato, e la mia credibilità va a farsi benedire, soprattutto se ho barato.

    Se la mia credibilità andasse a farsi benedire, tra l’altro, io scrivendovi due anni dopo “ehi, ho scoperto che le tartarughe volano” avrei ben poca probabilità di essere ascoltato, e probabilmente non vi prendereste nemmeno il disturbo di sentire degli esperti di tartarughe per sentire cosa ne pensano della mia nuova scoperta.

    Se non vengo smentito.

    Se invece dopo un po’ di tempo, dopo che alcuni hanno rifatto il mio esperimento, dopo che altri hanno scoperto esattamente come funzionano quegli strani muscoli della roto-coda, eccetera, eccetera, nessuno mi smentisce; allora io sarò nella storia della scienza “quello che ha scoperto che gli asini volano”, e probabilmente se qualcun altro scoprisse che volano anche i lama, voi (editor) mi consultereste come esperto di “quadrupedi volanti” per fare la peer review di quel paper.

    Ovviamente c’è ancora, potenzialmente, una grossa falla nel sistema: supponiamo che io mi metta d’accordo con mio cugino e cinque miei compagni di scuola, fondiamo una rivista nella quale mio cugino fa l’editor, io scrivo il lavoro e lui lo manda a quattro amici come reviewer… ops, pubblichiamo un articolo “peer reviewed” dove c’è scritto davvero che gli asini volano.

    Questo è il problema della credibilità della rivista, di cui parleremo un’altra volta.
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    Questa volta parlerò di un argomento molto più serio, e quindi noioso.

    La scienza è una cosa complicata.


    Scoperta dell’acqua calda, giusto? No. La maggior parte delle persone non ha idea di quanto sia complicata la scienza, nemmeno alcuni che si dichiarano “ricercatori” e dovrebbero invece rendersi conto di essere dei nani arroganti.

    Quando dico che è una cosa complicata non intendo solo che è “tanta roba” da studiare e capire, intendo dire che alcune cose sono proprio complicate per loro natura!

    Partiamo da una cosa semplice, molto semplice, come la matematica.

    Mi permetto di dire che è una cosa molto semplice perché è l’ambito in cui sono più competente: se dico che ciò che io so fondamentalmente è una fregnaccia non può offendersi nessuno, e poi perché lo è davvero.

    In matematica esistono solo certezze (o cose che sappiamo, per ora, di non sapere), solo modelli teorici, solo definizioni esatte: se una matematico dice che una cosa è così, allora è così e basta.

    Qualcuno adesso starà per obiettare pensando alla statistica e ai modelli probabilistici: anche quelli sono nella loro natura “esatti”, se io dico che una cosa ha il 50% di probabilità di accadere intendo proprio il 50%, così come se dico che il diametro di una sfera resta lo stesso da qualsiasi parte la si misuri è vero, per definizione. Mica pizza e fichi, è matematico! E in matematica non esistono modelli: l’oggetto di cui parlo è il modello stesso, la sfera è una sfera. Punto.

    Un po’ più complicata della matematica è, ad esempio, la fisica; intendo quella classica studiata al liceo. Perché la fisica ha a che fare con il mondo reale, e già lì modello e realtà son due cose diverse: il mio modello non è la realtà e non può essere perfetto, in nessun caso (o in altri termini sarà la realtà a non essere perfetta, rispetto al modello)!

    Vi pare banale? Pensateci un attimo.

    Faccio una palla da biliardo e voglio prevedere come rotola. Siccome sono molto bravo faccio la palla molto bene, molto “rotonda”. Ottimo, ho una notizia che sconvolgerà qualcuno: anche se la considero una sfera, non è una sfera.
    Non è rotonda, mettiamola come si vuole, non solo non è possibile che il suo diametro sia esattamente lo stesso in qualsiasi direzione lo misuro, ma qualsiasi fisico vi dirà che è impossibile che, misurando il diametro in due direzioni diverse, esso sia esattamente lo stesso. I-m-p-o-s-s-i-b-i-l-e.
    Nel mondo fisico non esistono due oggetti “uguali”, se non (forse) a livello sub-atomico. Se i due diametri mi sembrano uguali è solo perché non ho uno strumento abbastanza preciso per misurarli. Analogamente non posso fare una monetina che, tirata, dica esattamente il 50% delle volte “testa” e il 50% delle volte “croce”, in una certa misura si comporterà sempre come una tartina imburrata: preferirà cadere da una delle due parti.

    Quindi quando studierò, per esempio, come rotola la palla sul tavolo da biliardo e come rimbalza sulle sponde dovrò necessariamente fare delle semplificazioni, “fare finta” che sia sferica, “fare finta” che il panno del tavolo sia perfettamente uniforme, eccetera.

    Poco male, direte voi: invece malissimo, sono fregato!

    Il teorema di Pitagora è vero oppure falso; una retta interseca una parabola in due punti, oppure ci passa fuori o è tangente; un numero è primo o non lo è… la palla da biliardo “più o meno” segue quella traiettoria, a volte va in buca e a volte no, per bene che io faccia i conti il modello è approssimativo!

    E comunque anche la fisica e l’ingegneria sono materie fortunate, perché di solito studiano cose “costruite”; siccome sono costruite dall’uomo si sa (più o meno) come sono fatte, le regole del gioco (attrito, rimbalzo, leggi della dinamica) le conosciamo, e i conti si possono fare.

    Ho “a priori” un modello e delle misure, perché ho costruito una cosa che assomiglia a un modello voluto e con misure volute, anche se non è esattamente il mio modello. Posso prevedere la traiettoria della mia palla da biliardo con abbastanza precisione da dire che “la probabilità che l’errore sia tale da farla andare fuori dalla buca è tanto bassa da essere trascurabile”.

    Le cose esistenti in natura sono bestie molto più cattive.


    La natura non è per niente gentile nei confronti di noi poveri matematici, fa cose bislacche e irregolari, cioè complicate; noi matematici siamo menti semplici, asociali per natura, minimalisti per ambizione e pigri per necessità.

    Supponiamo che vi dicano “hei, guarda quella vallata, vogliamo farci una diga e metterci dentro cento milioni di metri cubi d’acqua, ci dici quali parti della vallata verranno sommerse?”.

    Ora diciamocelo, se fossi io a decidere, la vallata la farei a forma di parallelepipedo: lati delle montagne dritti e fondo piatto. A calcolare l’altezza necessaria per farci stare la quantità d’acqua voluta ci arriva un ragazzino delle medie e amen. Al massimo a forma di semisfera, se mi sento creativo: una ripassata alla geometria di secondo liceo e ci arrivate anche voi, dai.

    Ma la vallata non posso farla io come mi è più comodo e la natura, dicevo, è un po’ stronzetta: la vallata in realtà ha una forma davvero strana, le linee non sono dritte, le curve non sono cerchi.

    È tutto storto. È un lavoraccio. Ma si può fare.

    Si può fare perché comunque la vallata è lì, basta andarci e con santa pazienza misurare l’altezza di ogni punto, segnare tutto su un foglio e fare i conti. Datemi uno strumento per misurare l’altezza di un punto (una volta si usava un coso chiamato teodolite, adesso con un GPS si fa meglio e prima), carta, penna e un anno di tempo… e ve lo faccio a mano. Non scherzo, ci vuole solo pazienza.

    Certo in questo caso il mio modello è ancora più approssimativo che per la palla da biliardo, magari misurerò l’altezza a intervalli di 10 metri o di 100, e quindi il tutto non sarà precisissimo, ma ci si può accontentare: posso sapere come stanno le cose (la forma della vallata la posso guardare, e le misure basta prenderle), so esattamente le regole del gioco (l’acqua va in basso, non si discute), posso costruire un modello teorico abbastanza accurato da ottenere il risultato con la precisione che voglio (se misuro le altezze ogni “tot” so che sbaglierò al massimo di una quantità nota), i conti sono tanto semplici da potersi fare perfino a mano.

    Ci sono “modelli” ben più complicati.

    Studiando la natura ci si scontra spesso con modelli molto più complicati: vorrei prenotare le vacanze con sei mesi di anticipo, ho provato a chiedere a un amico esperto in meteorologia se in quei giorni pioverà, ma mi dice che non ne ha la più pallida idea!

    Come sarebbe a dire penserete: siamo nel 2014, costruiamo gli aerei, siamo andati sulla luna quarantasei anni fa, fra poco andremo su Marte, abbiamo computer potentissimi e satelliti… e non sappiamo fare una cosa banale come prevedere quando pioverà? Roba da medioevo. Qualcuno penserà che sia la lobby dell’Alpitour a nasconderci la verità.

    In fondo anche in questo caso dovrebbe essere semplice: non ci crederete ma esistono palloni sonda capaci di andare a misurare temperatura, pressione e umidità dell’aria (più o meno) dove vogliamo; esistono satelliti in grado di darci mappe precisissime della situazione dell’atmosfera, le informazioni possiamo averle praticamente tutte; quanto alle regole del gioco ci sono due strani tipi di nome Navier e Stokes che ben 200 anni fa hanno scritto le equazioni che descrivono come si comporta un fluido in movimento (come l’aria): non basta forse risolvere queste equazioni in base a tutti i dati disponibili per prevedere dove sarà ogni piccola nuvoletta fra sei mesi?

    No, non basta, perché se equazioni N-S sono così complesse da non avere quasi mai una soluzione “analitica”, tocca usare un modello approssimativo, tipo il modello a elementi finiti con cui si progettano i ponti (vi spaventa un po’ l’idea che i ponti vengano progettati con un “modello approssimativo” eh? ditelo!).

    Spiego: faccio finta di dividere l’atmosfera in “cubetti”, diciamo di un metro di lato; dopo metto in un computer la situazione di ogni cubetto in un certo istante (temperatura, umidità, densità dell’aria, velocità del vento, eccetera); in base ai miei calcoli che tengono conto di come è messo in un cero istante un cubetto e come sono messi quelli affianco (“quanto spingono”, per esempio, o “quanto calore mi arriva dal cubetto di sotto”) posso “prevedere” come sarà la situazione del mio cubetto ad esempio un secondo dopo, e così per gli altri cubetti… un secondo alla volta e il mio “modello” prevede che succede in futuro.

    Sembra facile vero? Quante volte devo dirvelo: Non lo è nemmeno un po’.

    Sto facendo molte approssimazioni, dico che calcolo la situazione fra un secondo in base a “quanto spinge l’aria del cubetto affianco”, ma il cubetto affianco dopo mezzo secondo mica rimane esattamente com’è adesso, poi ho detto “cubetti di un metro per un metro”, però la situazione in un angolo del cubetto mica è esattamente identica a quella dell’angolino opposto!

    Uno potrebbe pensare di fare i cubetti di un millimetro e calcolare un millisecondo per volta, ma sapete qual è il problema? In verità non possiamo nemmeno usare cubetti di un metro e intervalli di un secondo.

    La troposfera (la parte di atmosfera dove si verificano i fenomeni meteorologici) è alta da 8 a 20 km, per brevità facciamo dieci, diecimila “strati” di cubetti; supponiamo di voler simulare cosa succede sul mediterraneo… ci interessa un’area di circa 5000 km per 2000 km, ossia 5 milioni di cubetti per 2 milioni. Sono cento milioni di miliardi di cubetti. Controllate, basta una moltiplicazione.

    Adesso supponiamo (anzi non lo supponiamo, ve lo dico io per certo, perché è stato in passato il mio mestiere) che un computer per calcolare cosa succede a un cubetto nel mio intervallino di tempo debba fare diecimila “operazioni elementari”: per calcolare lo stato dei miei cubetti nell’intervallo di tempo scelto (un secondo) ci vogliono mille miliardi di miliardi di operazioni.

    Orbene: a oggi, gennaio 2014, il computer più veloce del mondo (si chiama Tianhe-2 e sta in Cina) può fare 33 milioni di miliardi di operazioni elementari in un secondo, quindi a calcolare “cosa succede in un secondo” nel mio modello… ci mette otto ore! Siamo messi male: facendo così le previsioni del tempo di domani le saprei fra ottantacinque anni, e non mi servirebbero a molto.

    In verità le previsioni del tempo si fanno con “cubetti” ben più grandi di un metro e intervalli ben più grandi di un secondo (oltre a usare una vagonata di “trucchi” per fare andare le cose più veloci), questo introduce degli errori rilevanti, ovviamente l’errore fatto nel calcolare quanto succederà fra un certo tempo ha effetto anche su tutti i momenti successivi, per questo le previsioni del tempo di domani sono abbastanza attendibili, quelle di fra 15 giorni lo sono molto poco, e quelle dell’anno prossimo ve le scordate. In ogni caso sappiate che si usano computer molto potenti e molto costosi, e per questo (fateci caso) le previsioni del tempo sono quasi sempre sponsorizzate da qualche produttore di computer.

    Comunque, per le previsioni del tempo, è solo un discorso di complessità di calcolo, in fondo “le regole del gioco” (cioè le equazioni che regolano moto dei gas, trasferimenti termici, condensazione ed evaporazione) le conosciamo, le “misure” e “lo stato delle cose” con qualche difficoltà ma le possiamo andare a prendere… il punto è solo che ci dobbiamo accontentare di fare delle semplificazioni perché i conti “giusti” proprio non siamo in grado di farli.

    Conoscere le regole del gioco.

    Albert Einstein ha sbagliato, e di grosso: sosteneva che la cosiddetta “interpretazione di Copenaghen” della meccanica quantistica data da Niels Bohr fosse sbagliata, mentre la maggior parte degli esperti di quel campo è convinta che Bohr avesse ragione. Forse. Se non sapete di cosa parlo non preoccupatevi, non è grave: non sono riuscito a capirci molto nemmeno io, e se questo non vi consola perché io sono un cretino qualsiasi e non è il mio campo, vi consolerà forse pensare che né Einstein né Bohr erano dei cretini, ed era il loro campo, e sicuramente almeno uno dei due ha sbagliato (infatti litigavano).

    Che ce ne frega e che cosa c’entra con la medicina e la Sperimentazione Animale? Ce ne frega molto e c’entra molto a dire il vero, ma procediamo con calma. La fisica subatomica è una delle parti della scienza di cui, a dire il vero, non conosciamo “per certo” le regole, lavoriamo su delle ipotesi, e a volte queste si rivelano sbagliate. È dunque il primo esempio del perché a volte non possiamo nemmeno pensare di “simulare al computer qualcosa” per un banale motivo: non sappiamo in realtà come funziona! Posso simulare qualcosa che so come funziona costruendo un modello e mettendoci dentro i dati, ma se il modello non ce l’ho che faccio?

    Poi la fisica subatomica serve per capire come si comporta un atomo, questo serve per capire anche solo che forma ha una molecola complessa fatta di molti atomi (come una proteina), e sapere che forma ha una proteina serve per sapere se si potrebbe “incastrare” in un’altra, e quindi fare qualcosa in una cellula.

    Se a questo aggiungessimo (e lo aggiungeremo) che quali sono le proteine in giro per una cellula, e come poi quella cellula interagisce con le cellule circostanti, e molte altre cose… in realtà non lo sappiamo affatto? Ecco, tanto basterebbe per dire che chi sostiene che si potrebbe sostituire la sperimentazione in vivo (cioè osservare gli organismi viventi, gli animali) con dei “modelli computerizzati” sta dicendo una stronzata di proporzioni ciclopiche. Ebbene: lo diremo, poi.

    Ma cambiamo campo, e andiamo a prendere un’altra lezione di umiltà per chi pensa che il mondo della scienza sia meraviglioso, crede di essere depositario di una verità assoluta che non abbisogna di confrontarsi con esperti di discipline diverse, e ritiene che ormai si sappia abbastanza da poter scrivere solo frasi all’indicativo con affermazioni forti, parliamo di misure. Size matters.

    Pesiamo la luna.

    Gli astronomi conoscono piuttosto bene le leggi che regolano il moto dei corpi celesti, si tratta di “regole del gioco” del tutto note (le descrisse già tale Newton), e i calcoli coinvolti non sono come le previsioni del tempo: sono tranquillamente affrontabili, con un computer moderno. Il “modello” quindi lo conosciamo, i conti si possono fare, basta prendere le misure e metterle nel computer no? Ad esempio prendiamo tutti i “pezzi” del sistema solare, ci segnamo la posizione, la velocità, il peso, … oh cavolo. Quanto pesa la luna? Che diametro ha? Quanto è eccentrica (cioè “storta” rispetto a una sfera perfetta)?

    Mica prendo una scala, la tiro giù, la metto sulla bilancia, la peso e amen. No, è complicato. Lo capirebbe chiunque, perfino un ex Ministro del Turismo.

    Posso “dedurre” il peso (siamo corretti: la massa) della luna basandomi su delle osservazioni indirette. Vediamo quanto influisce sulle maree, quanto sposta la posizione della terra attraendola, quanto fa deviare marte… deduzioni, osservazioni indirette.

    Molte cose in scienza funzionano così: non posso guardare che forma ha la molecola di una proteina, da sola, cioè sapere in che posizione sono messi i suoi atomi. Posso far crescere la mia proteina in forma di cristallo in modo che le molecole (tutte, suppongo, uguali) si mettano in ordine, tutte in fila. Poi sparo sul “cristallo” un laser e vedo come deviano i fotoni della luce, in linea di massima sono passati dentro a tante molecole della mia proteina tutte in ordine e tutte nella stessa posizione, saranno stati deviati in modo che dipende dalla posizione degli atomi… e lavorandoci un po’ posso stimare che forma avevano quelle molecole, più o meno.

    Non posso nemmeno andare dentro a una cellula e mettermi a contare quante molecole di quella proteina stanno in giro, per inserirlo nel mio modello. Non posso. Al massimo posso inventarmi delle tecnologie e degli strumenti che mi consentono di “dedurre” (più o meno) questa informazione: è come pesare la luna.

    È certo e preciso? Non molto. È semplice? Nemmeno un po’.


    Ci sono cose che non sono come progettare una diga (dove posso andare li e misurare l’altezza di un punto) o fare le previsioni del tempo (dove se voglio sapere che pressione c’è in un punto dell’atmosfera basta mandare lì un pallone sonda e misurarlo): quando le cose sono molto piccole o molto grandi le mie misure diventano “indirette” e quindi… complicate e “imprecise”.

    Il vero mostro.

    Il vero mostro è la biologia. Non parlo della biologia classica, parlo della biologia moderna.

    Che ne pensate di prevedere come si comporterà una cosa che esiste in natura (quindi non la abbiamo progettata noi seguendo un modello), che per essere “simulata” avrebbe bisogno di un computer miliardi e miliardi di volte più potente di quelli che abbiamo, che ha una forma che non possiamo osservare ma solo “dedurre”, che funziona secondo regole che non conosciamo ma in merito alle quali abbiamo solo delle ipotesi, e le cui “grandezze” non possono essere misurate con alcuno strumento ma solo stimate in modo indiretto ?

    E cosa pensereste di qualcuno che vi dicesse che per sapere come si comporterà quella “cosa” basterebbe costruire un “modello computerizzato” o “un simulatore robotizzato”?

    Io penso sia un cretino, un arrogante, un ignorante inguaribile… o che menta sapendo di mentire.

    Ve ne parlerò in un prossimo articolo.
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