La farsa dell'omeopatia

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    Dopo Stamina, liberiamoci dell’omeopatia



    In Italia e nel resto del mondo si vendono quotidianamente, e a caro prezzo, rimedi futili, in cui non c’è proprio niente di attivo. Parliamo dell’omeopatia

    Voglio sperare che siamo alla fine della squallida odissea di Stamina. C’è voluta una imbarazzante via crucis di disinformazione televisiva, figuracce internazionali e tribunali che non sanno come funziona la scienza, ma ormai sembra assodato: il metodo di Vannoni non ha alcuna credibilità.

    In tutta questa storia di pseudoscienza, lucro oliato dalla disperazione e cialtronismo mediatico, ho notato un piccolo e illuminante dettaglio. Nel liquido che Vannoni e Andolina iniettavano ai pazienti ci sono (al meglio) pochissime cellule staminali, il principio attivo del fantomatico metodo. Troppo poche per funzionare. Ma questa, mi sono detto subito, non è una sorpresa del metodo Stamina. Già, perché mentre (forse) ci liberiamo delle inutili fiale di non-si-sa-bene-cosa, in Italia e nel resto del mondo si vendono quotidianamente, e a caro prezzo, rimedi futili, in cui non c’è proprio niente di attivo. Parlo dell’omeopatia.

    I rimedi omeopatici sono falsa medicina, più di Stamina o della cura Di Bella. Questi avevano almeno una patina di scientificità, un’ipotesi più o meno nebulosa e squinternata di funzionamento. L’omeopatia invece si basa su teorie astratte della fine del ‘700 – parliamo di un’epoca in cui non si conosceva neanche l’esistenza dei germi. Teorie secondo le quali “il simile cura il simile”, cosa già discutibile. Però, secondo gli omeopati, lo fa solo se diluito enormemente. Quanto enormemente? Gran parte dei preparati omeopatici sono talmente diluiti da essere letteralmente vuoti: soluzioni in cui non rimane, matematicamente, neanche una molecola del supposto principio attivo.

    Non sorprende che non esista nessuna base scientifica per il funzionamento dell’omeopatia. Tutte le teorie come quella della “memoria dell’acqua” sono state smentite categoricamente. Del resto se l’acqua avesse memoria, tutta l’acqua sarebbe omeopatica, visto che vi sarà stato diluito di tutto. Dozzine di studi e test clinici hanno mostrato che i rimedi omeopatici non sono meglio né peggio di quello che, in effetti, sono: acqua fresca.

    Il vero problema non è tanto che l’omeopatia sia falsa medicina, ma che sia una cosa normale. Viene insegnata nelle università. È venduta nelle farmacie. Ospitata con la massima serietà sui quotidiani nazionali. In Italia per fortuna l’omeopatia non è rimborsabile dal servizio sanitario (in Francia sì) ma i farmaci omeopatici sono comunque detraibili dal fisco. Qualche anno fa l’Unione Europea arrivò a stanziare due milioni di euro per testare rimedi omeopatici sugli animali da allevamento. A Pitigliano possiamo vantare un intero ospedale omeopatico. Non ammetteremmo questa legittimazione culturale e legislativa per l’astrologia o la danza della pioggia: perché lo permettiamo per l’omeopatia?

    È bene mettere nero su bianco che l’omeopatia non è un innocente placebo per fricchettoni, ma può essere pericolosa. Certo, una pallina di zucchero su cui hanno spruzzato dell’acqua fresca, di per sè, non ammazza nessuno (i medicinali omeopatici infatti vantano di non avere controindicazioni. Giusto: è l’ennesima prova che non hanno nessun effetto biologico). Ma l’omeopatia induce chi ha bisogno di cure reali a ritardare o ignorare le terapie funzionanti. L’omeopatia infatti viene propagandata come cura per il cancro, per dire. E infatti vi casca una percentuale significativa di malati.

    No, questa non è propaganda macchinata dalle malvagie case farmaceutiche. Controlalte piuttosto il giro d’affari dell’omeopatia. Le multinazionali del settore non fanno certo beneficenza: hanno fatturati che superano i 500 milioni di euro, in continua crescita. Quanto a guerra dell’informazione, il mondo dell’omeopatia sa bene come essere aggressivo. Qualche anno fa ha provato a querelare un blogger italiano che aveva osato criticare la medicina omeopatica. E ancora prima querelarono Piero Angela, colpevole di aver detto la verità: l’omeopatia non è medicina.

    Il caso Stamina ci ha insegnato che è possibile ribellarsi alla pseudoscienza, anche se siamo ancora in attesa di un verdetto definitivo, che è possibile lottare perché lo Stato e la società distinguano tra vera e falsa medicina. Ma con quale faccia da un lato rifiutiamo Stamina e dall’altro accettiamo che finti rimedi vengano consigliati dai farmacisti, ogni giorno? Se qualcuno vuole continuare a comprare acqua e zucchero sperando che siano una terapia sicura e naturale, liberissimo di farlo, ci mancherebbe. Ma che l’omeopatia smetta almeno di fregiarsi del titolo di medicinale.

    Su ogni boccetta omeopatica dovrebbe essere scritto: “non c’è nessuna prova scientifica che questo prodotto sia efficace”. Deve essere chiaro, nelle scuole, negli organi di informazione, nella cultura di questo Paese che l’omeopatia non è scienza ma superstizione. Deve essere altrettanto chiaro che anche la più accettata e normale delle false medicine è un ostacolo alla salute di tutti. Non esistono superstizioni innocue: esiste solo la realtà dei fatti.

    Edited by Shagrath82 - 31/1/2014, 20:48
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    Semplificazione in arrivo per i prodotti omeopatici, ma cosa sono?



    Il decreto Balduzzi sulla Sanità prevede cambiamenti nella gestione delle procedure di registrazione dei prodotti omeopatici (ma non chiamateli farmaci)


    Daniela Cipolloni

    Tra le novità del decreto Sanità che il ministro Renato Balduzzi sta mettendo a punto e che ha incontrato diverse difficoltà nel pre-consiglio dei Ministri di ieri per timori di incostituzionalità e copertura di bilancio, è prevista una semplificazione delle procedure di registrazione dei prodotti omeopatici. Ricordiamo infatti che dallo scorso mese di aprile, come disposto dall' Aifa (Agenzia italiana del farmaco), è stato attuato un percorso di registrazione anche di questa tipologia di preparati, nell'applicazione di una direttiva europea che invitava i paesi membri a un adeguamento entro il 2015. Il decreto, per ora ancora una bozza, mira a garantire qualità e adeguatezza nella preparazione dei prodotti omeopatici allo scopo di tutelale la salute pubblica.

    Ma che cos’è davvero l'omeopatia? E come funziona? Secondo una recente indagine di Doxa Pharma, in Italia sei persone su dieci si sono affidate ai rimedi dolci almeno una volta nell’ultimo anno per curare piccoli disturbi, come raffreddore, mal di testa, dolori muscolari, anche se solo il 2,5% della popolazione ne fa un uso regolare. Tuttavia la maggioranza di chi acquista prodotti omeopatici non sa esattamente cosa sta comprando. Molti vorrebbero saperne di più. Ecco allora un po’ d’informazioni, prima di correre in farmacia.

    Che cos’è l’omeopatia?
    È la disciplina fondata alla fine del 1700 da un medico tedesco, Samuel Hahnemann, in base alla premessa che il simile cura il simile, ovvero che sia possibile curare un disturbo con quantità minime o inesistenti di una sostanza che, assunta in grandi quantità, provocherebbe il disturbo stesso. Assomiglia al principio dei vaccini. Infatti anche per stimolare la reazione del sistema immunitario si somministrano piccole dosi di antigene (in genere, una molecola proveniente dal virus stesso). Ma questo paragone non regge. Mentre nei vaccini c’è effettivamente la dose di principio attivo che esercita il suo effetto terapeutico, nei prodotti omeopatici no.

    Che cosa contiene un preparato omeopatico?

    In un prodotto omeopatico non c’è più traccia della sostanza d’origine. Questa infatti viene ripetutamente diluita in acqua, fino a scomparire. È un fatto matematico. Mettiamo che l’ingrediente di partenza (tintura madre) sia disciolto di un fattore cento (cioè una parte in 99 parti d’acqua). Sappiamo che una mole di qualunque sostanza contiene un numero N di molecole (detto numero di Avogadro), pari a 10 23. Dopo la prima diluizione (indicata con la sigla 1CH), la concentrazione di molecole sarà 10 21, dopo la seconda diluizione centesimale avremo 10 19 molecole, e così via... Dopo il 12esimo passaggio (ovvero, per concentrazioni omeopatiche superiori a 12CH), la probabilità di trovare una sola molecola di partenza è praticamente pari a zero.

    In base a quale principio dovrebbe funzionare l’omeopatia?
    Non lo sanno nemmeno gli omeopati. Si invoca la fantomatica memoria dell’acqua, per cui l’acqua avrebbe la capacità di ricordare le molecole con cui è entrata in contatto. Ma è un principio privo di qualunque fondamento. Analogamente, al limite dell’esoterico è il principio della dinamizzazione, ovvero quei vigorosi scuotimenti applicati al preparato omeopatico tra una diluizione e l’altra che dovrebbero amplificare la potenza dell’ingrediente.

    L’omeopatia ha basi scientifiche?
    Per quanto si sappia, no. Anzi, il suo eventuale funzionamento andrebbe contro tutti i principi della chimica, della fisica, della biologia. Bisogna ricordarsi che l’omeopatia è una disciplina formulata più di 200 anni fa, quando si usavano le sanguisughe, non erano ancora stati scoperti neppure virus e batteri, e la medicina era lontanissima dalle conquiste moderne. Questo, ovviamente, non esclude che possa esistere qualche meccanismo ignoto per cui l’omeopatia potrebbe funzionare.

    L’omeopatia è efficace?
    No, a parte l’ effetto placebo (che vale per qualunque cosa supponiamo ci faccia stare meglio). Il motivo per cui la maggioranza della comunità scientifica respinge l’omeopatia non è ideologico. Il problema è che centinaia di studi e sperimentazioni cliniche non sono mai riuscite a dimostrare che funzioni. Nonostante alcuni studi positivi tanto strombazzati (la maggior parte dei quali di rilevanza minore e pubblicati, guarda un po’, su riviste di omeopatia), le revisioni sistematiche della letteratura scientifica bocciano questo approccio (una rassegna si può consultare qui). Persino il National Center for Complementary and Alternative Medicine statunitense, dopo aver riversato milioni di dollari nella ricerca sulle terapie doli, è arrivato all’amarissima conclusione che “esistono scarse evidenze che l’omeopatia abbia una qualche efficacia per qualsivoglia condizione clinica”.

    È vero che i prodotti omeopatici, a differenza dei farmaci tradizionali, non hanno effetti collaterali?

    Certo che è vero. Non provocano effetti tossici per lo stesso motivo per cui non hanno effetti terapeutici. Tuttavia, indirettamente, anche un prodotto omeopatico può esser pericoloso, se assunto per una patologia seria al posto di un farmaco vero e proprio di comprovata efficacia.

    Molti genitori preferiscono somministrare ai bambini prodotti omeopatici anziché farmaci tradizionali. È sbagliato?

    È giusto, e prudente, non esagerare con i farmaci in età pediatrica, ma è rischioso omettere cure validate quando il medico le prescrive. I prodotti omeopatici sono solo un palliativo: non curano la bronchite, né qualunque altra malattia.

    È vero che l’Agenzia italiana del farmaco ha equiparato i farmaci ai prodotti omeopatici?
    Assolutamente no. Recentemente, l' Aifa ha recepito una direttiva europea in base alla quale anche i prodotti omeopatici dovranno essere registrati, come avviene per i farmaci. Ma si tratta di due procedure molto diverse. Mentre un farmaco deve superare una lunga serie di valutazioni, test pre-clinici e sperimentazioni cliniche che ne dimostrino sicurezza ed efficacia, un prodotto omeopatico no. Per l’autorizzazione al commercio, è previsto un canale di registrazione rapido che serve solo a garantire che non faccia male. Non a caso, per i prodotti omeopatici è vietato recare sull’etichetta o sul bugiardino indicazioni terapeutiche specifiche. Ora vedremo come il decreto Balduzzi cambierà la situazione.

    Molte persone stanno meglio dopo aver preso prodotti omeopatici. Come si spiega?
    A volte è una coincidenza. Più spesso, la potenza (scientificamente dimostrata) dell’effetto placebo. Anche per un farmaco tradizionale c’è l’effetto placebo, che però si somma all’effetto terapeutico. In ogni caso, è bene sottolineare che la medicina ha compiuto reali progressi solo quando ha abbandonato l’impostazione basata sull’esperienza personale e si è convertita all’impostazione basata sull’ evidenza scientifica ( evidence based medicine). Ci si può sentir meglio per svariati motivi, del tutto scollegati dal trattamento in sé. L’unico modo di stabilire il valore di una terapia è sottoporla all’esame rigoroso della scienza.

    L’omeopatia appartiene alle medicine complementari. Perché non considerarla un’arma in più?
    Questa distinzione tra medicina tradizionale e complementare è pretestuosa. La medicina è una sola, quella basata sull’ evidenza. E nel caso dell’omeopatia, di evidenze non ce ne sono.
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    Guida illustrata all'omeopatia


    Quante discussioni sull'omeopatia?
    Tante, troppe e non si finirà mai. Questo perché nel caso di questa pratica, si tenta di dimostrare il funzionamento di qualcosa che già in origine non esiste. E' come se si discutesse sulla capacità di volare dell'unicorno: non sarebbe più corretto aspettare prima di trovarlo, un unicorno?
    Per questo secondo me, prima di discutere sull'eventuale funzionamento dei rimedi omeopatici (che ad oggi non hanno mai mostrato di avere un effetto superiore al placebo), bisognerebbe dimostrare che la teoria omeopatica abbia anche una minima ragione di essere reale. Gli omeopati (ma anche la scienza) ci provano da due secoli, senza riuscirci, chi spiega i motivi di questo fallimento cerca di informare i pazienti ed i consumatori di cosa si sta parlando: solo così, forse, qualcuno aprirà gli occhi e smetterà di spendere soldi per comprare zucchero a peso d'oro. Se termini come "numero di Avogadro" e "diluizione ultramolecolare" possono essere ostici, una spiegazione più "popolare" può raggiungere un pubblico più vasto.
    Così, ispirandomi a piene mani ad un articolo di un blog in lingua inglese, provo a creare una guida illustrata all'omeopatia, una serie di fumetti che spiegano cos'è e come vorrebbe funzionare un granulo omeopatico. So benissimo che questo non smuoverà la fede dei seguaci di Hannehman, ma probabilmente farà sorgere qualche dubbio a chi, appunto, ha dubbi. Quando in discussioni sull'omeopatia qualcuno mi dice "su di me ha funzionato", non rispondo dicendo che si tratta di una suggestione ma chiedo: visto che hai questa sensazione, chiediti come possa fare una pallina di zucchero ad aver "funzionato" su di te. Il punto è proprio questo, non sono i "pazienti" omeopatici ad essere stupidi, è l'omeopatia ad esserlo ed è questa la strada da percorrere per informare correttamente i consumatori. Per questo ho creato una sorta di veloce riassunto su ciò che è l'omeopatia che potrebbe fare comodo a chi non sa cosa acquista a costi spropositati credendo di comprare farmaci.

    Tratto e liberamente adattato da How Homeopathy (Supposedly) Works Illustrated, ecco la guida a fumetti all'omeopatia.

    ===

    Gli omeopati credono che "il simile cura il simile", una malattia che causa debolezza è curata da una sostanza che causa la stessa debolezza, ma questo succede solo quando la sostanza utilizzata è diluita ripetutamente. Non esiste nessuna prova (e lo suggerisce pure il buon senso, immaginate di passarvi del peperoncino in un occhio che brucia e lacrima...) che per curare un sintomo bisogna assumere qualcosa che provoca lo stesso sintomo, questa ipotesi, risalente al 1800, non è mai stata dimostrata, nemmeno dagli omeopati.
    Più è diluita la sostanza più questa diventa "attiva". Qualche preparazione omeopatica può presentare alcune molecole, ma questo succede per quelle a bassa diluizione, quelle ad alta diluizione (oltre la 12ma, quindi in linguaggio omeopatico oltre la 12CH) non contengono alcuna traccia della sostanza iniziale.
    Ha senso? No. Non può averne, ma questo è quello su cui si basa l'omeopatia.

    Il primo passo è quello di trovare una sostanza che provochi nel paziente lo stesso sintomo della malattia da curare, per esempio un prurito può essere curato con un estratto di ortica o, un'ustione*, da una sostanza acida come il succo di limone o l'aceto, oppure il bruciore agli occhi con il pepe, che provoca bruciore agli occhi. Per gli omeopati, la causa del problema non ha importanza, ne ha solo il sintomo. Un eritema cutaneo ad esempio potrebbe essere causato da un'allergia o da un'ustione, oppure da un'infezione o da tante altre cause. Il medico cerca di capire cosa può avere provocato l'eritema e se possibile elimina la causa per guarire dal sintomo: se il bruciore è causato da un'allergia, ad esempio, un antibiotico sarebbe del tutto inutile. Per l'omeopata no, si cura il sintomo, a tutti gli effetti quindi l'omeopatia non avrebbe alcun ruolo curativo ma solo di sollievo.

    L'omeopata sceglie il rimedio in questione, quello che produce lo stesso sintomo della persona da curare. I rimedi hanno spesso nomi strani o latini, per esempio per trattare l'insonnia gli omeopati usano "Coffea cruda", ovvero l'estratto di caffè che contiene soprattutto caffeina.
    Per curare chi non riesce a prendere sonno quindi, l'omeopata prescriverà caffeina, sostanza che è conosciuta come eccitante, di certo non un sonnifero, un evidente controsenso.

    anamnesi



    Una piccola quantità di questo rimedio sarà mescolato ad acqua, per intenderci una goccia di caffeina sarà mescolata a 99 gocce di acqua. Possono essere utilizzati altri solventi, come l'alcol, ma questo renderebbe tutto più complicato visto che l'alcol, già da solo, ha degli effetti sedativi e così non potremo mai sapere se l'efficacia di un rimedio è dovuto alla caffeina diluita o all'alcol.

    Questa prima diluizione, in omepatia, è chiamata 1CH (diluizione centesimale di Hannehman). A questo punto le molecole di caffeina si trovano mescolate a quelle di acqua. Gli omeopati sostengono che le molecole di caffeina "comunicano" a quelle di acqua le loro caratteristiche e queste ultime, a contatto con quelle di caffeina, le "memorizzano" (la chiamano "memoria dell'acqua"). Non è chiaro come avvenga questo fenomeno e quali proprietà siano "memorizzate" (ogni sostanza può avere centinaia di effetti sull'organismo), non è chiaro nemmeno come faccia l'acqua a capire perchè memorizzare l'effetto causato sull'uomo e non quello causato in un'altra specie (ogni specie animale può avere effetti diversi dalla stessa molecola) e non si sa come mai l'acqua memorizzi le proprietà della caffeina ma non quelle degli eventuali contaminanti, della plastica del contagocce, del vetro del bicchiere, qualcuno dice che questa "attivazione" avverrebbe per merito della "succussione", procedimento che spiegherò fra poco, il problema è che dopo la "succussione" il prodotto omeopatico verrà a contatto (per forza, se viene assunto da una persona) con la lingua (piena di batteri e sostanze organiche), il palato, la saliva, la trachea ma mentre durante la preparazione l'acqua "memorizzerebbe" ciò con cui viene a contatto, subito dopo perde (non si sa perchè) questa sua capacità, sembra quasi che la molecola d'acqua capisca quando si trova in un bicchiere e quando scorre nel tubo digerente. Succede quindi qualcosa del genere:

    diluizione2



    Gli omeopati sostengono, come detto, che questo processo di "memorizzazione" avvenga dopo la "succussione".
    Per "attivare" queste proprietà, cioè, bisogna agitare (percuotere su una Bibbia, diceva l'inventore dell'omeopatia) 100 volte il bicchiere che contiene la soluzione acqua-caffeina ogni volta che si procede con una diluizione. Già, perchè una sola diluizione non basta: per rendere più efficace il rimedio servono più diluizioni, anche 100, 1000 (l'ideatore dell'omeopatia definiva "ideale" una diluizione a 30CH).
    Così si prende una goccia della prima diluizione, la 1CH e si diluisce in altre 99 gocce di acqua: la diluizione 2CH

    A questo punto la sostanza iniziale (la caffeina), sarà presente solo in tracce. Si procede allo stesso modo fino a quando si raggiunge la diluizione desiderata, più si diluisce la sostanza più, naturalmente, essa sarà poco presente. Una 30CH avrà ripetuto il procedimento per 30 volte. Naturalmente dopo un certo numero di diluizioni, la caffeina iniziale sarà già scomparsa, per logica e per le leggi di fisica e chimica, oltre la 12ma diluizione non esiste più nessuna molecola del principio attivo iniziale (nel nostro caso la caffeina) ed oltre la 24ma anche l'acqua iniziale sarà ormai sostituita da acqua "nuova". Questo però, secondo gli omeopati, non cambia nulla, anzi, più si continua a diluire maggiore sarà l'effetto del prodotto.

    Succede qualcosa del genere:

    memoria1



    Visto che maggiore è la diluizione, più potente è l'effetto, si potrebbe pensare che una diluizione altissima potrebbe causare non solo un effetto troppo potente ma anche dei pericoli per la salute. Nel caso della caffeina, ad esempio, una diluizione molto alta (100CH) dovrebbe causare gravissimi disturbi, addirittura il coma ma questo con l'omeopatia non succede, non si sa come né perchè ma l'omeopatia non ha alcun effetto collaterale. L'acqua sa come comportarsi e fa solo del bene, anche di questa proprietà non se ne conoscono i motivi ed i meccanismi...

    Il finale è sorprendente.
    Accade un altro fenomeno inspiegabile (sono tanti eh?). L'acqua così ottenuta (quindi tanto diluita da non avere più traccia di principio attivo) è spruzzata in un granulo di zucchero (in realtà i granuli sono "spruzzati" a migliaia dentro una sorta di "ruota", tanto che un granulo riceverà più acqua omeopatica ed un altro di meno, ma questo, non si sa perchè, per gli omeopati non ha importanza. Dopo qualche tempo l'acqua evapora ed il granulo, che ormai non contiene né principio attivo né acqua è confezionato per essere messo in vendita.

    impregnazioneL'acqua che ha "memorizzato" la caffeina viene spruzzata su un granulo di zucchero. Dopo l'evaporazione dell'acqua il granulo è confezionato per essere venduto. Non contiene nulla, né caffeina né acqua.



    Il granulo così ottenuto (quindi una semplice pallina di zucchero che non contiene nulla) non solo causerebbe un effetto (ma solo quello scelto dagli omeopati) dovuto alla caffeina (che non c'è più) memorizzata dall'acqua (che non c'è più) ma questo sarebbe opposto a quello causato normalmente dalla molecola sull'uomo, questo perchè possiederebbe proprietà sconosciute, tramite le quali agirebbe su strutture sconosciute con un meccanismo sconosciuto. Gli studi scientifici confermano che questo non possa accadere ma gli omeopati non ci credono. Gli effetti di una sostanza sul corpo umano avvengono normalmente quando questa sostanza incontra un "recettore", una struttura cioè che riconosce la sostanza in questione:

    effetto

    effetto2



    Vista la palese assurdità della procedura, molti scienziati hanno provato a capire se davvero una pallina di zucchero riuscisse in questa impresa. Così hanno realizzato degli studi che hanno dimostrato quello che, grazie alle conoscenze scientifiche esistenti, già si immaginava: il granulo di zucchero non serve a curare alcuna malattia e non ha alcun effetto, anzi, per la precisione ha lo stesso effetto di un placebo (cioè di una pallina di zucchero). Concludendo:

    Un granulo di zucchero ha l'effetto di un granulo di zucchero.

    Questa è l'omeopatia.

    Il fatto che nei granuli omeopatici (oltre la dodicesima diluizione) non ci sia altro che zucchero è un dato di fatto (noto anche agli omeopati naturalmente, si tratta di semplice chimica), tanto che la stessa presidente della SIOMI (Società italiana di medicina omeopatica ed integrativa) lo dichiara tranquillamente. La stessa persona però, quando questo è stato dichiarato dal sottoscritto si è scandalizzata (ed indignata!). Per risolvere l'equivoco allora, l'ho invitata qualche settimana fa ad un esperimento pubblico, davanti a 20 granuli (10 omeopatici e 10 di zucchero) avrebbe dovuto stabilire con qualsiasi mezzo lei volesse, quali fossero i granuli omeopatici e quali le caramelle di zucchero: non ha risposto al mio invito, presumo che non abbia modo di dimostrare le sue ragioni.
    Chi acquista prodotti omeopatici potrebbe stupirsi davanti a questi fatti, il consiglio che posso dare è quello di informarsi bene e con un po' di impegno scoprirà che ha speso i suoi soldi per caramelle di zucchero vendute come se fossero "farmaci" ma capire dipende da loro, le aziende omeopatiche naturalmente si guarderanno bene dallo spiegarvi tutto ciò e vivono grazie al fatto che la maggioranza dei consumatori non abbia alcuna idea di cosa sia l'omeopatia.

    cromato



    I governi e gli ordini dei medici "chiudono un occhio" su questa pratica preferendo regolamentare un ambito che altrimenti cadrebbe in mano ad imbonitori e ciarlatani, rendendo obbligatoria la prescrizione di omeopatia solo ai medici, si cerca di contenere una potenziale minaccia per la salute. In Inghilterra, paese nel quale l'omeopatia è rimborsata dal servizio sanitario nazionale però, il Science and Technology Committee (Comitato per la scienza e la tecnologia) del parlamento d'oltremanica, ha dichiarato:
    To maintain patient trust, choice and safety, the Government should not endorse the use of placebo treatments, including homeopathy. Homeopathy should not be funded on the NHS and the MHRA should stop licensing homeopathic products.

    (trad.): Per proteggere la sicurezza, la fiducia e la libertà del paziente, il governo non dovrebbe incoraggiare l'uso di trattamenti placebo come l'omeopatia. L'omeopatia non dovrebbe essere finanziata dal NHS (servizio sanitario nazionale, ndt.) e l'MRHA (l'agenzia dei farmaci inglese, ndt.) dovrebbe interrompere l'approvazione di prodotti omeopatici.
    Gli omeopati, negli anni, si sono lanciati in spiegazioni talvolta fantasiose altre volte che pescano a piene mani da parti della fisica e della chimica sperimentale. Termini come "energie", "fisica quantistica" o "cluster" sono ormai di casa nel variegato mondo dell'omeopatia. Peccato che gli omeopati per primi non sappiano nemmeno di cosa stiano parlando perchè altrimenti basterebbe un esperimento fatto bene per dimostrare come esistenti le loro teorie. Le basi teoriche dell'omeopatia sono del tutto assurde: si sommistra una sostanza che provoca un sintomo per curare una malattia che provoca lo stesso sintomo (ipotesi non dimostrata e senza senso) e per fare questo si somministra un granulo di zucchero che non contiene nulla e quindi non provocherà alcun sintomo, per questo motivo il mondo quantico delle particelle subatomiche è strano, l'omeopatia è stupida.

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    Perché l'omeopatia non è una scienza



    Alcune riflessioni su una controversia di lunga data

    L'omeopatia è un metodo di cura formulato dal medico tedesco Samuel Hahnemann (1755-1843) all'inizio del secolo scorso; i fondamenti della dottrina omeopatica sono stati formulati nel libro Organon della medicina razionale, pubblicato nel 1810 e presto tradotto in diverse lingue. Da allora l'omeopatia, di volta in volta vista come alternativa, antagonista o complementare rispetto alla medicina ufficiale (userò qui il termine "ufficiale" e non "scientifica" perché, ad esempio, la medicina ufficiale praticata al tempo di Hahnemann tutto era tranne che scientifica, come diverrà chiaro in seguito), ha conosciuto alterne vicende. I periodi di maggiore successo dell'omeopatia sono sempre coincisi con le crisi di credibilità della medicina ufficiale; in questi ultimi anni, contrassegnati fra l'altro da una progressiva razionalizzazione delle spese mediche che di fatto risulta in un peggioramento della qualità del servizio sanitario nazionale nei paesi occidentali e non solo, l'omeopatia sta conoscendo il periodo di massima diffusione dall'epoca della sua nascita.
    L'omeopatia si basa su una serie di principi, alcuni dei quali la pongono decisamente al di fuori della pratica scientifica, come cercherò di spiegare in questo articolo. I principi fondamentali sono:
    La focalizzazione dell'attenzione sul paziente, inteso nella sua globalità (biologia, psicologia ecc.) ed individualità, e non sulla malattia, sui sintomi, per cui occorre guarire il malato prima che combattere la malattia: tale approccio è detto "olistico", dal greco òlos (tutto, intero).
    Il concetto, di fatto il dogma, secondo cui la cura del malato avviene attraverso la somministrazione di sostanze che provocano nell'organismo sano, in dosi non pericolose, sintomi simili a quelli della malattia. Tale concetto è sovente espresso con la massima di Ippocrate "Similia similibus curantur" (il simile cura il simile).
    Il principio di infinitesimalità: la maggior parte delle medicine omeopatiche è preparata in forma altamente diluita, tanto diluita che il prodotto finale non contiene una sola molecola del principio attivo ma soltanto il diluente utilizzato (acqua o alcool).


    Qui di seguito cercherò di introdurre questi tre principi e di spiegare in che cosa l'omeopatia si colloca al di fuori delle discipline scientifiche, premettendo tuttavia che la non scientificità non ha nulla a che vedere con l'efficacia, peraltro non dimostrata, o con l'inefficacia, analogamente non dimostrata.

    L'approccio olistico

    Esistono in medicina vari approcci, tutti modelli semplificati della realtà; qui di seguito ne verranno presi in considerazione due.
    Il primo ha la sua origine nell'opera del biologo francese Louis Pasteur nella seconda metà del secolo scorso e focalizza l'attenzione sugli agenti infettivi (protozoi, batteri e virus) che invadono il corpo scatenando la malattia. Scopo della medicina è dunque la lotta contro i microrganismi patogeni, ad esempio attraverso la somministrazione di opportuni farmaci, lotta che ha avuto scarso successo (salvo alcune eccezioni, come il trattamento della sifilide) fino all'utilizzo della penicillina a partire dagli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. Altro strumento molto utile è la vaccinazione, se praticabile, che ha dato i primi frutti a partire dal lavoro dello stesso Pasteur.
    Tale approccio è particolarmente adatto ad affrontare le grandi epidemie (peste, colera, influenza, più di recente AIDS), che colpiscono un gran numero di persone nello stesso tempo e contro le quali non c'è altra difesa. In questo modo, tuttavia, l'attenzione per la malattia (e, di conseguenza, per le medicine) passa in primo piano e l'individualità del paziente riceve minore attenzione; in altre parole, si trasforma il paziente in caso.
    Il secondo approccio risale invece ad Ippocrate (V secolo a.C.) e focalizza la sua attenzione sul malato e sul concetto di predisposizione alla malattia, inteso come debolezza del corpo dovuta a fattori intrinseci (ad esempio genetici) o estrinseci (vita sregolata, alimentazione errata, problemi psicologici). Scopo della medicina è, in questo caso, quello di aiutare il corpo ad attivare le sue difese naturali attraverso il riposo e cure non debilitanti, secondo il concetto "primum non nocere" (prima di tutto non nuocere). In tale ambito l'individualità del paziente riceve maggiore attenzione.
    Tale approccio, reinterpretato in chiave moderna sotto forma di igiene di vita e di prevenzione, è applicabile nel caso delle malattie degenerative e del cancro (si pensi alle campagne contro il fumo e per una alimentazione corretta).
    L'omeopatia si colloca in questo contesto, cosa che può essere facilmente compresa se si considera la grande influenza che l'opera di Ippocrate ha avuto sul pensiero del fondatore, Samuel Hahnemann. La medicina omeopatica considera il paziente nella sua individualità e tratta ciascun paziente in modo diverso. In altre parole, "L'omeopatia non cura le malattie, cura i malati", interpretando tuttavia in modo originale le idee di Ippocrate.
    Per capire meglio questo punto è bene introdurre il concetto di "patogenesi omeopatica", vale a dire la tecnica con cui sono sperimentati i rimedi omeopatici. La sperimentazione avviene su individui sani in cui si cerca di riprodurre i sintomi ESTERIORI (questo è di particolare importanza, come si vedrà in seguito) delle varie malattie attraverso la somministrazione di dosi limitate, tali da non costituire pericolo per la vita o la salute, di varie sostanze, quali estratti di piante, di insetti, sostanze minerali, veleni di serpenti.
    Le persone sottoposte alla sperimentazione annotano poi attentamente tutto quello che provano nei giorni seguenti la somministrazione: a partire da queste annotazioni si ricavano i sintomi provocati dalla ingestione di una data sostanza. Per inciso, va detto che la patogenesi omeopatica è stata notevolmente perfezionata dall'epoca di Hahnemann con l'utilizzo di procedure che richiamano i test clinici dei farmaci della medicina ufficiale; nonostante questo, risulta sempre difficile distinguere i sintomi provocati dall'ingestione di dosi necessariamente ridotte di sostanze tossiche da sintomi spuri dovuti ad altre cause. A parte ciò, ci si accorse ben presto che persone diverse provano sintomi diversi in seguito all'ingestione di una stessa sostanza e che alcune persone non presentano alcun sintomo. Questa osservazione ha condotto alla conclusione secondo cui esistono vari "tipi sensibili", un altro modo per dire che non siamo tutti uguali e non rispondiamo tutti alla stessa maniera a certi stimoli. Tale constatazione impone però la necessità di individuare il tipo sensibile di ciascun paziente al fine di somministrare un rimedio adatto, per cui le cure omeopatiche devono essere necessariamente personalizzate.
    Tutto questo è definito approccio olistico: il medico omeopata non prende in considerazione soltanto i sintomi della malattia al fine di prescrivere la cura ma cerca anche di individuare il tipo sensibile del paziente. I vari tipi sensibili richiedono rimedi diversi per una stessa malattia.
    Qui, però, iniziano i problemi: come si fa a definire un tipo sensibile? In mancanza di una teoria soddisfacente che correli costituzione individuale e sensibilità ad una certa sostanza, ogni classificazione deve per forza avere un qualche carattere di arbitrarietà. Tutto questo si spiega più facilmente esaminando il colloquio tra un medico omeopata (M) ed una paziente (P); il medico ha permesso ad un etnologo di registrare il colloquio, apparso sul numero di giugno del 1998 della rivista francese La Recherche a pagina 64. Qui di seguito riporto la trascrizione del colloquio, sperando di non commettere troppe imprecisioni nella traduzione:
    M: "Che cosa si sente?".
    P: "Ho delle angosce. Inoltre non riesco a muovere la spalla destra".
    M: "Allora ha a che vedere con l'osteopatia! È la mia specialità".

    [Segue la visita alla spalla, poi il colloquio riprende].

    M: "Si tratta di Calibromatum [preparato omeopatico, ndt]. Certe persone, quando hanno perso l'attività manuale, hanno perso tutto: vanno in depressione. Allora le prescrivo Calibromatum perché lei è una donna che si annoia la domenica". [La paziente non dice nulla].
    M: "L'odore del tabacco le dà fastidio?".
    P: [Ha un attimo di esitazione]. "Mmm. No, non particolarmente".
    M: "Sarebbe la tipologia di Ignatia [altro preparato omeopatico, ndt]. Si tratta di persone che non sopportano l'odore del tabacco. Sono persone sottomesse all'autorità".
    P: "Proprio così. Al lavoro, sono io il capo. Ho il mio personale. A casa c'è mia madre che è sempre là, sopra di me. Sono una donna sola".
    M: "Mangia bene?".
    P: "No".
    M: "Allora non è Calibromatum. Lei non è come me. Lei sa il divertimento che sua madre le ha assegnato?".
    P: "Sarebbe ?".
    M: "Il dovere".
    P: "Sì!".
    M: "La sua principale preoccupazione è il dovere".
    [Il medico prescrive Ignatia].


    A prima vista il colloquio può apparire surreale; in realtà il medico tenta di capire la tipologia alla quale appartiene la paziente. Ha in mente due rimedi possibili per il dolore alla spalla, Calibromatum e Ignatia, e spiega alla paziente la tipologia del primo (qualcuno che si annoia di domenica) e del secondo (qualcuno sottomesso all'autorità). Questo significa che, in seguito alle prove di patogenesi omeopatica, per le persone a cui Calibromatum (e non Ignatia) provoca dolori alla spalla è stato individuato come tratto comune l'annoiarsi alla domenica, laddove nel caso contrario è stata individuata la sottomissione all'autorità.
    In questo contesto si può pensare che il dolore alla spalla sia di origine psicosomatica, tanto più che la stessa classificazione sembra richiamare fattori psicologici. La scarsità delle conoscenze e l'assenza di teorie valide sulla individualità della risposta a certe sostanze rendono tuttavia la definizione dei criteri di classificazione incerta e di non sicura affidabilità. Questo esempio dovrebbe comunque dare qualche indicazione sulla natura dell'approccio olistico, il quale è diretta conseguenza della patogenesi omeopatica e costituisce la sua applicazione pratica.
    Peraltro l'attenzione rivolta all'individualità del paziente, alla sua storia ed alla sua vita, e soprattutto il tempo dedicato al paziente stesso costituiscono una delle principali ragioni del successo dell'omeopatia.
    Di contro, la medicina ufficiale spesso trascura di prestare attenzione al paziente. Quando si va dal medico il colloquio dura pochi istanti, giusto il tempo necessario per prescrivere un farmaco, quando non è il paziente stesso ad avere già in mente la medicina da farsi prescrivere, e non può essere altrimenti perché la sala d'aspetto è affollata da tante altre persone che aspettano il loro turno. Considerando poi che il medico riceve per un paio d'ore al giorno e che in questo tempo deve visitare almeno trenta-quaranta persone non ci si deve stupire del carattere di catena di montaggio che assume il rapporto tra la medicina scientifica (quella moderna lo è, a tutti gli effetti) e il paziente.

    Similia similibus curantur

    Il secondo principio fondamentale dell'omeopatia è quello della similitudine, originariamente formulato da Ippocrate: per aiutare il corpo a guarire da una malattia occorre somministrare una sostanza che, nell'organismo sano, provoca gli stessi sintomi della malattia.
    Qualche considerazione sul contesto in cui l'omeopatia è nata può aiutare a chiarire meglio il motivo che ha spinto Hahnemann a portare alle estreme conseguenze le idee di Ippocrate, idee che lui ben conosceva in quanto i testi classici di Ippocrate e di Galeno (II secolo d.C.) avevano una parte fondamentale nella formazione universitaria dei medici alla fine del XVIII secolo.
    La medicina del tempo era fortemente influenzata dalle teorie del corpo come macchina elaborate nel corso del XVII secolo; secondo tali teorie la buona salute del corpo dipendeva dall'equilibrio fra i vari fluidi corporei (sangue, flegma, bile, atrabile) e la malattia da un disequilibrio. La cura delle malattie consisteva dunque nell'eliminazione del (o dei) fluidi in eccesso, attraverso salassi, purghe e così via. Poiché si cercava di porre rimedio ad un ipotetico disequilibrio la medicina dell'epoca, detta allopatica, si basava sul principio "contraria contrariis curantur" (una cosa cura il suo contrario), esattamente opposto rispetto a quello della futura omeopatia.
    La pratica più in voga all'epoca era il salasso del quale, fra l'altro, si pensava che contribuisse all'eliminazione della causa della malattia, espulsa con il sangue versato. Tali idee si basavano ben poco sulla sperimentazione, rispecchiavano piuttosto il modo in cui si voleva fosse fatto il corpo umano: su questa base si cercava a tutti i costi un accordo con la realtà. Di analoga natura erano le dispute fra i medici dell'epoca, che ben poca importanza sembravano attribuire all'efficacia delle loro cure.
    Avrebbero dovuto occuparsene maggiormente: i medici del XVII-XVIII secolo spesso uccidevano i loro pazienti, naturalmente senza volerlo, in quanto cercavano in tutti i modi di disidratare il corpo. Uno degli accorgimenti basilari della medicina moderna è, al contrario, quello di idratare i pazienti poiché spesso una semplice idratazione basta a fare la differenza tra la vita e la morte. C'è da dire che le trasfusioni di sangue erano state tentate nel XVII secolo (Giovanni Colle, 1628) ma, data l'ignoranza riguardo ai gruppi sanguigni, avevano dato esiti letali.
    Perseguendo con testardaggine la convinzione di dover riequilibrare i fluidi corporei e non potendolo fare aggiungendo, si riequilibrava togliendo, ma al tempo stesso si rendeva ai pazienti, nella migliore delle ipotesi, la guarigione più difficile che non in assenza completa di cure (con rare eccezioni, quali alcuni disturbi circolatori e l'edema polmonare acuto, in cui il salasso ha effetti positivi). Tali pratiche furono anche ridicolizzate da Molière in alcune commedie (Monsieur de Pourceaugnac, Il malato immaginario, Il medico suo malgrado).
    Alla fine del XVIII secolo vari medici, tra cui Hahnemann, iniziarono ad opporsi a questo stato di cose e, dal fermento ideologico dell'epoca, trassero origine da una parte un profondo mutamento delle pratiche mediche che avrebbe poi portato alla nascita della medicina scientifica, dall'altra l'omeopatia. In tale contesto le idee di Ippocrate secondo cui il corpo umano è in grado di guarire da sé se lasciato a riposo (natura medicatrix) e il medico deve prima di tutto non peggiorare la situazione (primum non nocere) ebbero grande influenza.
    Su Hahnemann ebbe profonda influenza anche il principio di similitudine, tanto che ne fece uno dei cardini dell'omeopatia.
    C'è da dire, ancora, che tale principio riguarda i sintomi. Per fare un esempio, è noto che una puntura d'ape causa un dolore acuto ed un rigonfiamento locale; il dolore è diminuito dall'applicazione di un corpo freddo ed acuito da una pressione esercitata sulla zona colpita. Ebbene, se un paziente presenta un dolore accompagnato da un rigonfiamento locale (si noti, non dovuto ad una puntura d'ape), dolore che si attenua e acuisce nel modo sopra descritto, il medico omeopatico prescriverà una diluizione di Apis mellifica, diluizione infinitesimale di un principio attivo ricavato da un estratto di api (le medicine omeopatiche hanno nomi latini che ricordano in qualche modo la loro origine; Apis mellifica è il nome scientifico dell'ape).
    Ancora sul principio di similitudine: la medicina omeopatica non lo ha mai messo in discussione, sebbene non abbia fondamento scientifico e non vi siano prove sperimentali a suo favore. La medicina allopatica dei secoli XVII-XVIII si basava sul principio opposto (contraria contrariis curantur), e analogamente non può essere definita una medicina scientifica.
    La medicina moderna non ha dogmi, benché gli omeopati si ostinino a definirla allopatica. A volere a tutti i costi trovare in essa applicazioni dei principi del simile e del contrario, li si trovano entrambi: il primo nei vaccini, in cui si iniettano batteri o virus inattivati o loro proteine allo scopo di attivare le difese immunitarie, il secondo nella maggior parte dei farmaci che tentano o di eliminare le cause della malattia o almeno di alleviarne i sintomi.
    Il punto è che il medico di oggi non pensa di applicare uno dei due principi: essi, semplicemente, come tali non hanno più alcun senso. Le pratiche mediche sono conseguenza di uno studio il più possibile accurato del funzionamento del nostro corpo, delle cause delle malattie degenerative e della biologia degli agenti patogeni; a partire di qui si cerca di formulare dei rimedi che passano poi al vaglio di una sperimentazione controllata, il più possibile rigorosa. Nelle pratiche scientifiche non c'è spazio per dogmi, dottrine o principi sul modo in cui noi vorremmo fosse fatta la natura e, per di più, le poche "certezze" della scienza sono destinate ad essere periodicamente messe in discussione.
    Il fatto che l'omeopatia non abbia mai messo in discussione i suoi principi è sufficiente per definirla come una pratica non scientifica.

    Le diluizioni infinitesimali


    Nelle medicine omeopatiche il principio attivo, definito sulla base del principio di similitudine, è il più delle volte presente in forma estremamente diluita, tanto diluita da essere assente.
    Le diluizioni in omeopatia si esprimono in decimali hahnemanniani (DH, ossia 1:10) o in centesimali hahnemanniani (CH, ossia 1:100); molto spesso le diluizioni raggiungono valori di 30 CH, 30 volte 1:100 ossia 1:1060 , 1:(102)30). I solventi utilizzati per diluire sono acqua o alcool; per raggiungere valori di 30 CH sono necessarie diluizioni successive, comunemente 30 diluizioni 1:100. Tali diluizioni avvengono per "succusione", vale a dire una vigorosa agitazione sul piano verticale che dovrebbe, insieme con la diluizione, esaltare il potenziale terapeutico latente del principio attivo. In effetti, in omeopatia, le soluzioni più diluite sono considerate le più attive. Una mole di una sostanza, ovvero una quantità in grammi pari al suo peso molecolare, contiene circa 6X1023 molecole. Supponendo di partire da una mole di sostanza disciolta in un litro di solvente, un litro di una diluizione a 30 CH dovrebbe contenere (6X1023)/(1060)=6X10-37 molecole.
    A questo punto si pone un problema di logica: come fa una sostanza che non c'è ad esercitare una funzione terapeutica? La logica (meglio sarebbe chiamarla senso comune) non è però sempre la migliore guida in campo scientifico: la sperimentazione è molto più affidabile e, d'altro canto, Newton forse non avrebbe trovato logica la teoria della relatività di Einstein. Il principio di infinitesimalità è stato ampiamente osteggiato da parte della medicina ufficiale, che lo ha sempre considerato l'indice principale della non scientificità (e della non efficacia) dell'omeopatia, e strenuamente difeso dagli omeopati che hanno tentato in tutti i modi di fornirgli uno status scientifico.
    La tendenza corrente dei sostenitori dell'omeopatia è quella di ipotizzare una specie di "memoria dell'acqua", vale a dire la capacità dell'acqua (e dell'alcool) di conservare per un tempo indefinito informazioni sulle sostanze che ha disciolto. La memoria dell'acqua è stata al centro dell'affare Benveniste, vale a dire la pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, contro il parere dei revisori, di un articolo del ricercatore francese Jacques Benveniste che sosteneva di avere verificato l'effetto. Peraltro, nessuno è stato in grado di ripetere l'esperimento.
    Il principale problema di questi studi è rappresentato dalla difficoltà di studiare il comportamento di molecole in concentrazioni al di sotto di 10-10 moli/litro. In effetti, l'acqua che si utilizza per diluire, benché ad un grado elevato di purezza, non può mai essere perfettamente pura; peraltro, i metodi di analisi più sensibili disponibili al giorno d'oggi si fermano (salvo alcune eccezioni molto particolari) alla soglia di 10-10 moli/litro e non è possibile escludere la presenza del composto che si vuole studiare nella stessa acqua di diluizione. In altre parole, diluendo una sostanza X con acqua ultrapura è possibile raggiungere un qualunque livello di concentrazioni nominali, anche 10-20 moli/litro, ma se l'acqua con cui si diluisce contiene lo stesso composto X a concentrazione, poniamo, pari a 10-11 moli/litro (e questo generalmente non è possibile saperlo), la concentrazione finale sarà di 10-11 moli/litro anziché 10-20 moli/litro e non varierà continuando a diluire. Detto questo, e considerando comunque che non tutto quello che non si può dimostrare è sicuramente falso, l'opinione di chi scrive è che, prima ancora di cercare di capire come l'omeopatia funziona, bisognerebbe sapere se l'omeopatia funziona.
    Al momento attuale mancano test clinici seri e rigorosi, benché negli ultimi anni si sia raggiunto un accordo fra medici ed omeopati per elaborare un protocollo sperimentale. La principale difficoltà consiste non tanto in una mancanza di volontà da parte degli omeopati ma nelle caratteristiche dell'omeopatia stessa, prima fra tutte (inevitabilmente) lo stretto rapporto tra medico e paziente; i test clinici per i farmaci convenzionali lo evitano accuratamente per non introdurre fattori psicologici spuri che renderebbero più difficile la valutazione dell'efficacia del farmaco stesso.
    Altra cosa importante è che non si andrebbe a valutare l'efficacia dell'omeopatia in quanto tale, ma di ciascun rimedio omeopatico preso singolarmente, per cui non sarebbe sorprendente trovare risultati positivi per alcuni e negativi per altri. Infine, una valutazione dell'attività dei farmaci omeopatici nulla può dire su fenomeni ipotetici quali la memoria dell'acqua, in quanto una eventuale efficacia non può in alcun modo essere una conferma di quello che noi ipotizziamo essere il meccanismo d'azione. Tuttavia, se si dimostrasse sperimentalmente l'efficacia dell'omeopatia, avrebbe senso indagare a fondo il meccanismo d'azione, e non solo nella direzione della memoria dell'acqua. Non si possono escludere infatti effetti di natura psicologica, una sorta di esaltazione dell'effetto placebo dovuta al contesto in cui le visite mediche sono svolte in omeopatia ed al loro effetto sul paziente.

    Conclusioni

    Giunto al termine, vorrei fare il punto su quanto esposto in precedenza. L'omeopatia si fonda su tre principi, l'approccio olistico, il principio di similitudine e quello di infinitesimalità. Le critiche più pesanti che la comunità scientifica ha rivolto all'omeopatia riguardano il principio di infinitesimalità, che è stato sempre considerato la prova più lampante della non scientificità dell'omeopatia e della sua inefficacia: ciò che è assente non può esercitare alcun effetto.
    A mio parere, ciò che non è scientifico è la formulazione del principio di infinitesimalità da parte di Hahnemann al di fuori di ogni prova e, naturalmente, il suo stato di principio, di dogma al di fuori di ogni discussione. Viceversa, l'eventuale effetto esercitato dalla diluizione, a cui gli scienziati hanno dedicato grande attenzione, è l'unica parte dell'omeopatia su cui uno scienziato rigoroso non può dire nulla. In effetti, non potendo né dimostrarlo né confutarlo, il giudizio scientifico non può che essere rimandato; il principio è contrario al senso comune ed alla logica più elementare, ma questo non basta per invalidarlo. Per quanto riguarda l'approccio olistico, il curare i malati prima ancora delle malattie, questa è una lezione da cui la medicina scientifica dovrebbe trarre profitto ed è a mio avviso una delle ragioni principali del successo dell'omeopatia ai giorni nostri. L'applicazione pratica dell'approccio olistico non è tuttavia priva di problemi e di incertezze, come si è visto.
    Per finire, il principio di similitudine, e soprattutto il suo utilizzo sistematico, è un retaggio della cultura classica, richiama il principio di autorità e l' Ipse dixit dei medioevali (in questo caso Hyppocrates dixit) e si colloca del tutto al di fuori della metodologia scientifica.

    Davide Vione
    Chimico, è dottorando presso il Dipartimento di
    Chimica Analitica dell'Università di Torino.
    Lavora nel settore della chimica dell'ambiente

    Bibliografia


    A.A.V.V. 1998. L'homéopathie au banc d'essai. La Recherche 310: pp. 57-87.
    Aylesworth, Thomas G. 1973. Il mondo dei microbi. Milano: Rizzoli.
    A.A.V.V. 1993. Le sang (spécial). La Recherche 254: pp. 491-644.
    Benveniste, Jacques, et al. 1988. Human basophil degranulation triggered by very diluted antiserum against IgE. Nature 333: pp. 816-820
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  5. ^Julia^
     
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    sicuramente la componente suggestiva e l'affetto placebo ha un forte ruole nella "terapia".
    Poi molte persone confondono l'omeopatia con la fitoterapia
     
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