[SCHEDA] Scatman John

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    John Philip Larkin è un nome che dice qualcosa forse solo agli appassionati di jazz più fanatici. La maggior parte di noi però senz’altro ricorderà il suo alter ego: Scatman John.

    Fin da bambino John fu afflitto da una forma di balbuzie molto severa di cui si vergognava molto e che lo portò a evitare i contatti sociali con i suoi coetanei e a rinchiudersi nella musica e nell’alcol, dedicandosi all’amato pianoforte per evitare di ricorrere alle parole. Così, dopo una lunga gavetta nei fumosi club di Los Angeles tra jazz, superalcolici e droghe John Larkin arrivò nel 1986, a 44 anni suonati, a incidere il suo primo disco omonimo.

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    John Larkin nel 1985 con Joe Farrell, Clark Woodard e Bob Harrison

    Il disco venne inciso tra il 1984 e il 1985 grazie all’apporto di una band eccezionale: la batteria terremotante di Clark Woodard, il basso pulsante di Bob Harrison, il sax indomabile di Joe Farrell (scomparso prima che il disco potesse essere pubblicato) e ovviamente il piano di John Larkin e la sua voce consumata. L’album fu pubblicato per la piccola etichetta Transition Records e distribuito solo nella zona di Los Angeles passando colpevolmente inosservato.

    Sei canzoni fumose, sofferte e probabilmente autobiografiche. Senza un vero e proprio “centro di gravità” ma che riescono a stare insieme grazie alla capacità del quartetto: dall’apertura tellurica e nervosissima di “The Misfit” si passa improvvisamente al vocal jazz di “Last Night I Dreamed” fino al free jazz di “Angels Flight” per chiudere con una potentissima versione del classico “Softly, As In A Morning Sunrise”. L’unico brano che anticipa quello che arriverà molti anni dopo è “John Coltrane” in cui, quasi a esorcizzare i propri demoni, Larkin usa la tecnica dello scat (cioè fraseggi improvvisati con sillabe senza senso) fino al catartico finale cacofonico. Insomma un diamante grezzo che nessuno ebbe la possibilità di apprezzare.

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    A causa di una carriera che non decollava nel 1992 accettò di trasferirsi in Germania per lavorare come pianista negli hotel a Berlino e fu proprio qui che ebbe luogo la sua trasformazione in Scatman John. Quando una volta il suo impresario tedesco ascoltò casualmente un nastro in cui John improvvisava usando lo scat gli propose di farci qualcosa e quel qualcosa fu unire quelo stile canoro con la musica eurodance che proprio allora stava conoscendo il suo periodo di massima fortuna.

    All’apparenza una scommessa azzardata, ma nel 1995 il successo del suo singolo di debutto “Scatman (Ski-Ba-Bop-Ba-Dop-Bop)” scritto con i produttori Ingo Kays e l’italianissimo Antonio “Tony” Catania, fu tale da renderlo una star di portata internazionale alla non più giovane età di 53 anni.

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    Un aspetto interessante della canzone sta nel fatto che Scatman non nasconde la sua balbuzie (che pure gli ascoltatori non percepiscono), anzi incentra l’intero testo sulle difficoltà che gli ha causato e di come sia riuscito a trasformarle in un punto di forza per la sua carriera, proponendosi come esempio positivo per chi soffre di questo handicap di cui poco si parla.

    Non sappiamo se il successo fu dovuto a questo insolito mix di scat-eurodance o piuttosto alla curiosità nel vedere un distinto signore baffuto in impeccabile completo scuro sillabare a una velocità da far impallidire molti rapper e dimenarsi su un sottofondo di musica dance.

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    Il fortunato singolo e il successo ancora maggiore del successivo “Scatman’s World”, dalla struttura molto simile, fecero da apripista all’omonimo album “Scatman’s World”, nel quale il suo inseparabile cappello fa finalmente bella mostra di sé in copertina. Si tratta di una raccolta di canzoni dance-pop arricchite dai fraseggi scat tipici del nostro e qualche passaggio jazzato.

    I testi sono basati in buona parte sulle sue esperienze di vita, come il passato da alcolista in “Time (Take Your Time)”, e sull’immaginaria utopia di “Scatland”, altro esempio della visione del mondo positiva e ottimistica di chi, dopo una vita difficile, si sente in dovere di ringraziare per l’imprevedibile fortuna ricevuta.

    Altre canzoni degne di nota: l’ironica “Popstar”, in cui Scatman John si descrive come una megastar di dimensioni quasi messianiche (a Bono e Michael Jackson saranno fischiate le orecchie), e le due tracce di chiusura che possono quasi essere viste come precorritrici dell’electro jazz odierno.

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    Un successo comunque strepitoso, tale da generare anche risvolti grotteschi, come le accuse di chi lo sospettava di fingere il suo handicap per creare compassione e far vendere più dischi. “Scatman’s World” in ogni caso non ne ha bisogno, avendo ottenuto il disco d’oro in Francia, Polonia, Svezia e, segnatevi questo dettaglio, aver superato il milione di copie vendute in Giappone.

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    Però, come tutte le belle cose, anche la popolarità di Scatman John ha breve durata. Già il terzo singolo estratto, “Song of Scatland”, riceve un’accoglienza molto più tiepida, avendo molto poco a che fare coi precedenti. Si tratta di una sorta di ballata dal testo francamente retorico e melenso, con irritanti coretti di bambini qua e là. Come ben sappiamo inoltre il testo in una canzone dance è nel 90% dei casi irrilevante, quindi col senno di poi è stata una scelta sbagliata promuovere una sorta di pubblicità progresso da parte di colui che era ormai considerato “quel signore con i baffi che fa versi strani su della musica unz-unz”.

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    L’anno successivo esce il singolo “Everybody Jam!”, che darà il titolo al nuovo album: un tributo vivace ed energetico al suo idolo e principale ispiratore Louis Armstrong, accompagnato da un simpatico video girato a New Orleans che comprende un sosia di Satchmo, una banda e bambini in costume da Scatman. Tutto questo però non bastò a generare vendite, che si limitano, quando andò bene, ai bassifondi delle classifiche.

    La formula è praticamente identica al precedente: stessi produttori, stesse tracce dance frenetiche (ma non per forza vuote di contenuti, si veda il messaggio anti-militarista di “People of the Generation”) contrapposte a ballatone edificanti già dal titolo o lenti come l’orientaleggiante “Lebanon”, più una cover di “The Invisible Man” dei Queen già presente sulla brutta copilation-tributo “Queen Dance Traxx I”. Scatman John continua nella sua missione di diffondere positività e cantare di rispetto e fratellanza, anche se ormai in pochissimi lo stanno ancora a sentire.

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    In Europa e negli Stati Uniti il quarto d’ora di fama di John Larkin è già ampiamente finito e l’album viene praticamente ignorato (raggiunse a fatica un misero 45° posto in Svizzera), ma il pubblico giapponese continuò ad apprezzare la sua musica, probabilmente per il fascino dell’esotico: l’album sarà venduto nel paese del Sol Levante con ben 5 tracce bonus, di cui due legate a pubblicità di successo per prodotti di cosmesi e per un budino (il fenomeno di attori e artisti stranieri che si ritrovano a girare pubblicità in Giappone è ben documentato e parodiato, ricordiamo ad esempio Bill Murray in Lost in Translation). Da ricordare come il Giappone abbia ricevuto anche l’EP esclusivo “Scat Paradise” e abbia regalato al mondo incredibili tributi/parodie come ScatUltraman, in cui il famoso eroe della fantascienza nipponica indossa il cappello di Scatman John mentre canta la sua canzone più famosa tra esplosioni e mostri di gomma.

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    Sul finire degli anni ’90 non solo la carriera, ma purtroppo anche la vita stessa di Scatman John era giunta al termine a causa di un tumore ai polmoni. Nonostante la diagnosi però, il nostro, fedele al suo ottimismo e all’immagine positiva di sé che aveva trasmesso, decise ugualmente di procedere alla registrazione di quello che sarebbe stato il suo ultimo lavoro, intitolato con beffarda ironia “Take Your Time”.

    A causa cattive condizioni di salute non venne prodotto nessun video promozionale, ma vennero estratti quattro singoli nel tentativo disperato di promuove il disco, uno dei quali, “Ichi Ni San …Go!”, strizza l’occhio fuori tempo massimo al pubblico giapponese, mentre “Scatmambo” venne inserito nella colonna sonora di una commedia romantica tedesca… Sempre meglio che essere usato per Selvaggi dei Vanzina!

    Per il resto non c’è molto da aggiungere, solita alternanza tra brani lenti e canzoni allegre, la solita cover (qui troviamo “Sorry Seems To Be The Hardest Word” di Elton John) e per rinfrescare il tutto una spruzzata di arrangiamenti latineggianti (questa volta ad opera del produttore Kai Matthiesen), ma piuttosto generici e fiacchi, in cui il suo inimitabile scatting non basta più a risollevare il tutto. Traspare un lavoro frettoloso, sia per le precarie condizioni di salute di John, sia perché nessuno ci credeva tanto, consapevoli di produrre un disco che non aveva mercato.

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    Sei mesi dopo l’uscita dell’album, il 3 dicembre 1999, “Scatman” John Philip Larkin si spegne nella sua abitazione di Los Angeles, senza rimpianti per una carriera iniziata tardi e terminata presto, ma soddisfatto per aver potuto lasciare un segno, anche se per poco. Il singolo “Take Your Time” fu poi ripubblicato poco tempo dopo la sua scomparsa, in un nuovo formato con quattro tracce e la dedica “In Loving Memory Of Scatman John”.

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    Due anni dopo, nel dicembre 2001, viene rilasciato l’album postumo “Listen To The Scatman”, anche se sarebbe stato più corretto intitolarlo “Listen To John Larkin”, visto che si tratta di una raccolta delle sue primissime registrazioni, un jazz principalmente per voce e pianoforte quasi come agli esordi, in cui non vi e straccia della sua controparte danzereccia tranne che nella title track conclusiva in un contrappunto perfetto con “Scatman’s World”. L’anno successivo invece fu pubblicato in Giappone un “best of”, mentre inspiegabilmente nel 2012 in Polonia la Sony Music pubblicò una raccolta analoga dal titolo “Największe Przeboje” per cercare di fare cassa con il catalogo di vecchi artisti.

    Per finire, una nota riguardo alla percezione del primo singolo di Scatman in Italia. Grazie alla memorabile parodia dei film natalizi dei Vanzina girata da Maccio Capatonda, Natale al Cesso, “Scatman (Ski-Ba-Bop-Ba-Dop-Bop)” è divenuta sinonimo di cinepanettone venendo riutilizzata in svariate altre parodie successive. In realltà la canzone venne usata solo nel finale della commedia di Vanzina Selvaggi del 1995, mentre il Vacanze di Natale di quell’anno adoperò la successiva “Scatman’s World”. Senza nulla togliere alla bravura di Capatonda, dubitiamo che Larkin sarebbe stato contento di essere ricordato solo in combinazione a una sequela di mossette, scoregge, adulteri e botte in testa.
     
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    Fenomenale ... non conoscevo (se non per la famosissima hit degli anni '90)... il disco The Misfit è fenonemale
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