I 5 migliori videogiochi sportivi per PlayStation I

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    I 5 migliori videogiochi sportivi per PlayStation I

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    Per i 25 anni dalla sua uscita sul mercato, abbiamo selezionato i migliori titoli sportivi per PlayStation I della nostra infanzia.

    Per quel misto di possibilità fisiche, hardware, software, e idee geniali che caratterizza tutte le invenzioni più interessanti, il padre dei videogiochi è stato un gioco di sport. Tennis for two, sviluppato da William Higinbotham nel 1958, viene considerato uno dei primi videogiochi mai inventati; una riproduzione elettronica del tennis che si giocava su un oscilloscopio con due controller di alluminio con una manovella e un solo bottone per rispedire la pallina nel campo degli avversari. Il primo videogioco commerciale di successo, Pong, è un’astrazione dell’air hockey più che del ping pong, ma stiamo comunque parlando di sport.

    Il passaggio dalle sale giochi, dai cabinati alle console casalinghe ha fatto esplodere il mercato dei videogiochi, e la regina della cosiddetta quinta generazione videoludica, quella che ha portato una console in ogni casa, è la grigia Playstation di casa Sony. La prima Playstation, uscita a dicembre del 1994 in Giappone e pochi mesi dopo nel resto del mondo, ha venduto tre volte più del suo diretto concorrente, il Nintendo 64, e ha proseguito il filone mai avido di videogiochi sportivi con titoli seminali, che hanno costruito scheletro e stilemi di quelli odierni.



    Questo pezzo vuole essere un tributo a quei giochi che abbiamo consumato perché erano geniali, bellissimi, o anche solo mega divertenti; sappiate però che la Playstation è fatta di plastica, lettore ottico, color grigio ragioniere e un sacco di nostalgia; non si può, facendo una retrospettiva simile, separare dai videogiochi (uno dei media più evolutosi negli ultimi 20 anni) il coinvolgimento emotivo negli stessi, altrimenti staremmo qui a parlare di giochi brutti, superati, noiosi. Alcuni di questi lo sono, certo, ma la loro importanza è notevole ancora oggi e una partita non gliela negheremmo.

    Winning Eleven 4 – Iss Pro Evolution



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    Tutto ciò scritto sotto, e le punizioni di Roberto Corlos.



    Prima di diventare PES, la serie di casa Konami era ISS Pro, ovvero International Superstar Soccer Pro; ma prima ancora lo zoccolo duro conosceva la serie (spesso grazie alla famigerata “modifica” della Playstation, ovvero il modchip del lettore ottico che permetteva di leggere sì i giochi “masterizzati” ma anche quelli provenienti da regioni che non fossero quelle PAL) come Winning Eleven, nome internazionale di un gioco che ha faticato ad entrare nelle case europee nei suoi primi tempi, sgomitato dalle luminose licenze e la storia dei titoli EA Sports.



    Winning Eleven 4 abbandonava la strada di sole squadre nazionali dei suoi predecessori e accoglieva i club, ma aveva i nomi storpiati di squadre e giocatori, tanto per iniziare. Però c’era qualcosa di irresistibile nel titolo Konami: l’implementazione grafica era intelligente (i volti erano pur sempre irriconoscibili, ma più generici dei tentativi di Fifa, quindi lasciavano che la somiglianza si vedesse nei capelli, nella stazza, nel colore della pelle – mio padre entrò in soggiorno e, vedendo un giocatore correre sulla fascia, mi disse «ah, quello è Zambrotta, si vede»). Il gameplay era diverso, più complesso rispetto al titolo EA, e poi c’era la Master League, un ibrido manageriale, di cui possiamo ricordare la formazione di default a memoria, con amori e odi connessi. 53 nazionali a disposizione e 16 squadre di club per non smettere di giocare praticamente mai. Ognuno ha i suoi ricordi e i suoi preferiti tra i calciatori poligonali di Winning Eleven, ognuno giocava a modo suo e la sua alta competitività – ognuno giocava a seconda delle sue abilità e attitudini, mentre in Fifa c’era un modo abbastanza semplice/specifico per segnare – è stata una delle cause principali di litigi tra ragazzini e anche, se vogliamo, l’antenato di qualsiasi forma di esports con titoli sportivi.



    Chicca assoluta: le licenze mancanti e la localizzazione. Owenn, Rui Casta, Zedane, Chiezal, Ronnaldo, Bah (nel senso di Ibrahim) – anche se il vero divertimento inizierà con il primo Pro Evolution Soccer: sapete riconoscere Michael Kruger, Ruud vom Mistelroum, Facu, Jan Killer, Edwin Farzel Haar? Se poi avevate la versione masterizzata con la localizzazione metà giapponese e metà inglese restava la telecronaca in giapponese, le cui frasi di cui tuttora non capisco il significato albergano in una zona del mio cervello e non se ne andranno mai (SHUUUTOOOOO).

    Fifa 98 – Road To World Cup 98



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    Prendete i Blur e mettetili in sigla, aggiungete dei palloni alti fino al ginocchio dei giocatori, mescolate col commento di Giacomo Bulgarelli e Massimo Caputi. Fifa 98 (o la sua controparte mondiale, Road To World Cup 98) credo fosse l’unico gioco che ho visto in tutte le case dei miei amici che avevano una Playstation, o anche un computer per giocare ai videogiochi.



    La presentazione era incredibile: video iniziale con Song 2 dei Blur, menu viola con i Crystal Method a rimarcare questa strana passione della EA per il big beat. Poi subito a fare le amichevoli, la stranezza della presenza del campionato della Malesia tra quelli giocabili, il ricordo indelebile della prima partita di ogni campionato di Seria A della vostra squadra del cuore e il menù delle “Azioni Salienti”, riempita di gol bellissimi presi dalla Memory Card o casi assurdi di errori di gioco, persone che fanno contrasti a portieri che gli sbattono i palloni addosso, rigori parati e poi entrati per caso. Fifa 98 era divertentissimo. C’è un certo senso di immortalità in Fifa 98; ora come ora, se uscisse una gigapatch con giocatori e squadre attuali, ci giocherei volentieri.



    Non sono sicuro che farei lo stesso con Winning Eleven – ISS Pro, un gioco troppo nostalgico e al contempo proiettato nel futuro per avere in sé la possibilità di rigiocarlo. Quest’ultimo aveva in sé degli elementi futuristici e futuribili, poi migliorati nelle edizioni successive sono stati migliorati, e quindi perché giocare a un gioco monco?



    L’arcadismo spinto di Fifa 98 invece ha un suo modo specifico di essere giocato, un suo spazio emotivo e tecnico, un po’ semplice come il pane e nutella e le cose che fai quando ancora sei un ragazzino. Possiamo pure dire, sapendo di suonare anche un po’ spocchiosi, che Fifa 98 è l’ultimo e l’apice degli arcade calcistici e WInning Eleven – ISS Pro il primo delle simulazioni; poi le cose sono cambiate, ma questa è un’altra storia.



    Chicca assoluta: in un gioco arcade come Fifa 98 la chicca non può essere che l’ennesima potenza dell’arcade, ovvero lo stadio indoor, richiesto da allora dai fan ad ogni nuovo gioco di Fifa e mai concesso. Nel campetto indoor si giocava in 5 contro 5, la fisica era inesplicabile, si segnava da ovunque, i più furbi (io) toglievano la possibilità dei falli e diventava una sorta di mega-rissa senza capo né coda.



    Nato praticamente a caso nel Fifa precedente dal motore di un gioco EA da saletta mai uscito per questioni logistiche (questioni logistiche: si giocava sul minidisc e i colpi ai cabinati dei giocatori frustrati avrebbero fatto saltare il lettore e rovinato il disco), in Fifa 98 raggiunge l’apice. Era terribilmente caotico, il pallone era dorato e non il canonico bianco per qualche motivo, con due espulsioni si poteva restare a giocare in tre contro cinque, e l’AI utilizzava meglio di tutti i muri per passare il pallone e addirittura tirare. Potevi sfidare qualsiasi amico a giocare nel campo indoor, anche quelli meno abili a Fifa: nel campo indoor vale tutto.

    NBA Live 97



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    Il rookie Iverson schiaccia su Eddie Jones. Certo.



    NBA Live 97 è il primo gioco in tre dimensioni della serie NBA Live, creato utilizzando il motion capture (tecnica allora avveniristica) e abbandonando le sprites che fanno tanto Super Nintendo, o JRPG. Se ora diamo per scontato il 3d e il famigerato passaggio alla profondità di campo ci sembra una sciocchezza, pensate o guardate NBA Jam Tournament del 1995, gioco megadivertente ma che aveva le facce dei giocatori di basket appiccicate tipo collage a corpi in 2D come quelli dei picchiaduto a scorrimento.



    NBA Live 97 con il 3d cambia tutto: possibilità di replay (anche questo grazie ai corpi poligonali), maggior movimento, maggiori scelte, oltre a maggior realismo. Soprattutto c’è Rodman coi capelli verdi nei Bulls, Jordan e Barkley assenti per motivi di diritti (o meglio: ci sono ma si chiamano “Player”) e quindi era necessario creare due dei giocatori più famosi per avere i roster completi, ma questo dava anche l’idea delle possibilità che poteva dare NBA Live 97 (se ne potevano fare fino a 40 e alzi la mano chi non ha mai creato il proprio avatar enorme e fortissimo).

    Il gioco poteva essere un pelino macchinoso per quanto riguarda la selezione delle tattiche da applicare, ma la transizione dei poligoni in movimento è liscia, e ciò che di meglio si potesse avere per raggiungere una certa veridicità e fluidità di gioco.

    Chicca assoluta: i programmatori hanno pensato che l’altra cosa che mancava rispetto ai giochi precedenti, a parte la tridimensionalità, erano più schiacciate. Le animazioni delle schiacciate sono aumentate in maniera esponenziale e si può schiacciare con tutti sopra tutti e c’è un menù apposito di replay con varie opzioni per far rosicare l’avversario il più possibile.

    Anna Kournikova’s Smash Court Tennis



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    Non conosco nessuno di questi nuovi tennisti degli ATP Next Gen.



    Nella lotta tra il migliori giochi di tennis per la prima Playstation il gioco marchiato Anna Kournikova supera per giocabilità e rigiocabilità il classicone Actua Tennis, che per quanto più simulativo sulla carta aveva una riuscita grafica risibile, con i tennisti che sembravano levitare sopra il campo e un gameplay abbastanza lento.



    Smash Court Tennis invece, paradossalmente viste le pretese arcade, riesce a mantenere una fisica discreta e una risposta ai comandi solida e resta sicuramente più divertente. In quella vena un po’ matta di chi alla fine ormai ha preso la strada della non realisticità, vincendo i tornei si sbloccano nuove racchette e nuovi personaggi sempre più bislacchi (da Tekken, Ridge Racer o Time Crisis), più sulla falsariga di Mario Tennis che di un gioco di tennis serio, ma il gameplay ne vale la pena.



    Chicca assoluta: fare una partita di tennis con Pac-Man contro Yoshimitsu utilizzando al posto delle racchette un grosso tonno e/o una spada laser: si può fare.

    Gran Turismo 2



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    Quando c’è la gara ma devi anche fare la spesa con la tua vecchia Toyota.



    Inizi il gioco con pochi crediti, una patente da prendere e una macchina di seconda mano da comprare per raggiungere il successo nel mondo delle corse. Le premesse di Gran Turismo 2 non sono le più sorprendenti, ma le dinamiche e la messa in gioco del titolo della Polyphony l’hanno iscritto per sempre nell’olimpo dei videogiochi. Le macchine giapponesi sono le prime da acquistare per farsi qualche soldo vincendo le prime gare, ma appena messi da parte qualche decina di migliaia di crediti l’acquisto di una Punto o di una Seicento era obbligato, oppure la Ford Ka di vostra zia, per sfrecciare lungo i 27 tracciati, ottenere altri soldi, aggiustare la propria macchina o comprarne di nuove; si potevano salvare sulla propria memory card e portare il proprio garage dagli amici per gareggiare, aumentando esponenzialmente il livello di rigiocabilità.



    Poi tutte le modifiche all’assetto, l’albero, i freni, le gare su strada, da rally. Sembra una roba un po’ da chi sta in fissa con le auto ma in realtà l’esperienza di gioco, la risposta ai controlli e la profondità lo resero adatto a tutti quelli che stavano in fissa con i videogiochi in generale. Come se non bastasse, la grafica era pazzesca (i riflessi delle luci sulla carrozzeria dell’auto!) e la colonna sonora notevole: a parte le tracce originali c’erano i Cardigans, Rob Zombie, Stone Temple Pilots, Garbage.



    Chicca assoluta: trovare una chicca assoluta in GT2 è veramente difficile. Tutto Gran Turismo 2 è un insieme di chicche, piccoli regali ai giocatori, pensieri, caramelle fatte di codice e poligoni. Dalla possibilità di caricare tramite memory card la propria patente sviluppata nel primo Gran Turismo (giustamente, l’hai già fatta no?) all’enorme quantità di vetture presenti (seicentocinquanta – 650!!!) di trentasei costruttori differenti, alla competizione altissima data da gare come quelle di resistenza. Vi troverete a fare novantanove giri del circuito di Roma in due ore (due ore vere, fisiche); ad un certo punto si passa per quella che sembra Via dei Fori Imperiali e si imbocca a Cavour, poi a Monti. Giuro.

    Bonus: Colin McRae 2.0





    Negli anni ‘90 il rally si correva così.



    Se il primo capitolo di Colin McRae rally era estremamente divertente, il secondo è praticamente una pietra miliare. Soprattutto nella prima Playstation l’impressione è che i capostipiti delle varie serie servissero più a tastare il terreno ed aprire la via, e che i sequel fossero solitamente meglio riusciti dei precedenti. A via aperta infatti apparivano i sequel che potenziavano e ampliavano il discorso dei giochi precedenti, migliorando grafica, giocabilità e in generale l’esperienza del giocatore.



    Mentre con Anna Kournikova Smash Court Tennis il nome della tennista era là solo per puro branding, per la serie Colin McRae il pilota scozzese fornì parecchio supporto ed esperienza reale al team di sviluppatori che finì per creare uno dei giochi di corsa migliori per la vecchia Playstation. Colin McRae 2 era difficile, la macchina si rompeva se la trattavi male e andava aggiustata, le auto fantasma del miglior tempo ti sfrecciavano davanti e provavi a seguire le loro prestazioni per fare le curve migliori.



    Con un parco macchine notevole (22 vetture) e la possibilità di scegliere il proprio pilota, condizioni atmosferiche variabili che cambiano la tenuta di strada, nove nazioni in cui fare i tamarri sgasando su terreni più o meno sterrati, varie opzioni di multiplayer e il trucco per poter SPARARE PALLE DI FUOCO DAL COFANO UTILIZZANDO IL FRENO A MANO (cosa ancora più divertente: gli sviluppatori hanno implementato l’AI degli avversari per spararti addosso, quindi dovevi aspettarti che gli altri piloti non fossero gentili con te), Colin McRae riusciva a divertire con la sua competitività anche i ragazzini che se ne fregavano delle corse con le macchine. Uniti ad un motore fisico di gioco estremamente ben fatto (attraverso i trucchi si poteva modificare la gravità, o rendere rimbalzanti alberi e staccionate) e una AI aggressiva e competitiva, ne hanno fatto un classico.



    Chicca assoluta: la possibilità di correre con la Mini Cooper S. Più leggera, con una grande risposta allo sterzo, praticamente ogni rally diventava un’allegra scampagnata. La Mini, poi, tendeva a cappottarsi facilmente; unite questo al trucco degli ostacoli rimbalzanti o della modifica della gravità ed era subito gita sulla luna.

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    Nyarlathotep

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    Non ricordo in quale Gran Turismo (credo il primo) c'era la gara 24 hours le mans, che durava veramente 24 ore (si poteva mettere il pilota automatico e perdere posizioni ma solitamente era una maratona videoludica da fare con gli amici).
     
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