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Ok non sono più i Treblinka, quindi hanno smesso di suonare black metal, però i primi dischi col nome Tiamat erano carini. Non capolavori ma carini.
Questo è un pasticciaccio dove non è paraculo per chi non capisce un cazzo di metal (manco gothic metal) e troppo moscio per i metallari.
Da cosa ricordo dopo riuscirono a fare di peggio.. -
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Vote for love, che fu singolo con video, mi è piaciuto.
Molti inorrideranno ma sapete che sono una dai gusti semplici
Il resto dell'album è noiosetto, più che altro perché mi sembra un po' monocorde. -
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Dio non ha mai ordinato a nessuno di essere stupido
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cioé, si chiamavano così?
Bei coglioni. -
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so' ragazzi (cit.). -
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Si tratta di un disco mediocre.
Non brutto, ma mediocre ma soprattutto fuori fuoco. Non è rock, non è metal e finisce per scontentare tutti.. -
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a me non è dispiaciuto.
Non un capolavoro ma con le atmosfere giuste e un po' ruffiano. Quel tanto che ti permette di ascoltarlo e non scordartelo subito, anzi, ti viene voglia di farlo ripartire da capo.. -
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Rispetto agli esordi è brutto come disco, ma se pensiamo a cosa è arrivato dopo questo rimane per lo meno un disco sufficiente.
Non il mio gruppo preferito, ma nemmeno nei primi dieci. -
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Ok, cercherò di essere obiettivo e a non farmi influenzare dal fatto che giocavano a fare i nazisti da salotto quando avevano l'acne.
Abbandonato definitivamente il death/doom degli esordi, i Tiamat giungono con questo Judas Christ -ma già anche a partire dal precedente Skeleton Skeletron- ad un gothic rock molto orecchiabile nobilitato da venature dark, da riflessi di psichedelica settantiana e rari inserti elettronici.
Un piglio easy listening, quindi, un appeal rock variamente modulato e diversificato che si fa forte di un’ispirazione capace di mantenersi su discreti livelli, con picchi rari ma notevoli.
L’opener The Return of the Son of Nothing è sicuramente uno dei vertici qualitativi del disco: malinconica, cupa, che resta nella mente con l’indelebilità tipica delle melodie ispirate, con quel giro di chitarra terrigno, quel violino struggente ed il finale freddo, affidato ai suoni campionati. E soprattutto, la voce di Edlund, profonda ed intensa, davvero unica per timbro ed espressività.
Un benvenuto del genere predispone nel migliore dei modi al prosieguo dell’ascolto.
Il problema è invece che i brani successivi, ad eccezione della splendida ballad Love Is as Good as Soma, sono più prevedibili; il rock domina ed uniforma il sound facendosi addirittura prepotente nei pur validi assolo di chitarra (ascoltate quello in The Truth’s for Sale) ed è quasi unicamente la voce ad incarnare quel mood dark e gothic che affinava le composizioni e conferiva loro il peculiare fascino.
Le melodie si fanno semplici, talvolta persino banali (vedi Vote for Love, con quei cori femminili francamente non entusiasmanti che però ti rimangono in testa e svolgono la sua funzione da singolo radiofonico) e l’estrema cura negli arrangiamenti non riesce sempre a risollevare i brani dalla loro mediocrità.
In Fireflower vige un mood molto Seventies, mentre lo strumentale Sumer by Night con il suo mood lisergico e schizoide richiama certe suggestioni presenti in Wildhoney. Un brano come Angel Holograms amareggia per i suoi banali giochi di distorsione elettronica sulla voce mentre i pezzi successivi sono gradevoli, ben fatti ma non riescono minimamente ad avvincere. In particolare le due ballate finali, pur non sgradevoli, risultano piuttosto insignificanti; l’ultima presenta addirittura inquietanti reminiscenze del love metal targato HIM.
In conclusione, se paragoniamo questo disco ad altri successivi della carriera dei Tiamat di certo ne uscirà vincitore, quantomeno per l’energia autentica che riesce a trasmettere e per un’ispirazione ancora schietta e vitale. Tuttavia, godendo di una visione a volo d’uccello sull’intera carriera della band possiamo affermare senza tema d’errore che Judas Christ non appartiene di certo alla fase più alta della loro produzione. Pur non essendo il peggiore esempio di questa deriva “gothic rock”, esso non riesce a penetrare nelle profondità animiche restando, seppur piacevolmente, in superficie.. -
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Un disco dove e atmosfere rock gotiche prevalgono su quelle metal. Paradossalmente sembra più metal negli episodi più calmi come la canzone d'apertura. Il tutto nobilitato dalla voce di Edlund. Il problema è che sono lontani i fasti dei primi lavori. Troppe tracce e molte simili tra loro.
Disco che raggiunge a stento la sufficienza.. -
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Non è un disco di merda ma nemmeno un capolavoro.
Mediocre, senza troppi picchi con brani un po' troppo monocordi.
Credo che tra un mese l'avrò già dimenticato.. -
.Rispetto agli esordi è brutto come disco, ma se pensiamo a cosa è arrivato dopo questo rimane per lo meno un disco sufficiente.
Non il mio gruppo preferito, ma nemmeno nei primi dieci
aggiugno che è più gothic rock che gothic metal.
Disco ibrido che sembra un po' schizofrenico nelle intenzioni. -
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Disco che non credo abbia soddisfatto la maggior parte degli astanti qui presenti, ma in fondo a me frega un cazzo.
Uno dei miei dischi degli anni universitari e sì, lo presi dopo aver ascoltato il commercialissimo singolo "Vote for love" e non me ne pento.
Uno dei miei guilty pleasure, lo dico senza problemi.
Ah ho pure l'edizione limitata. -
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I pregi e i difetti bene o male li avete già elencati voi nei vostri interventi.
Personalmente trovo che sia un disco appena sufficiente, dove i difetti sono abbastanza pesanti e che inficiano il giudizio finale.
Le mie quattro:
The Return of the Son of Nothing
Vote for Love
Love Is as Good as Soma
Heaven of High. -
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Non è un capolavoro, tutt'altro
Però ha quel sound ruffiano che ora passati i 35 posso permettermi di ascoltarlo anche senza le paure di non essere TRVE!
Meglio degli HIM, ma decisamente commerciale sia chiaro.
Però funziona. -
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Mi ha fatto cagare.
E tanto.
Ota necessito di una scorta di bifidus che la marcuzzi la faccio diventare ricca.