Serie A 2022-23

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    Il Milan riparte a valanga: poker all’Udinese, comanda Rebic

    Doppietta per il croato, di Hernandez e Diaz gli altri gol. Esordio nella ripresa per De Ketelaere, Origi e Pobega. Ma occhio alla fase difensiva: le reti di Becao e Masina sono un campanello d’allarme
    Marco Pasotto

    13 agosto - MILANO
    I sogni di mezza estate non svaniscono all’alba del campionato. Semmai si rafforzano perché questo Milan si riaffaccia al torneo con lo stesso vigore col quale aveva concluso lo scorso. I quattro gol spremuti nella porta dell’Udinese, oltre a essere tanti in sé per sé, servono anche per nascondere qualche amnesia in fase difensiva da non sottovalutare, e a vanificare quindi le due reti messe a segno dai friulani. In poche parole, è lo stesso Milan visto lungo il precampionato: spietato davanti, un po’ svagato dietro, sgradevole novità vista com’era andata la scorsa stagione.
    Pioli ha le chiavi per metterci mano, ma intanto negli occhi resta soprattutto l’altra faccia della medaglia. Quella che luccica e che offre un Diavolo feroce nel pressing, fantasioso nella manovra, dinamico nelle giocate e tonico nelle gambe. Fa effetto pensare che rispetto al disastroso Udinese-Milan (1-0) dell’agosto 2019, nell’undici di partenza Calabria sia l’unico superstite. Sono passati solo tre anni ed è stata una rivoluzione totale capace di portare uno scudetto, costruita su quei giocatori a cui si è affidato oggi Pioli dal primo minuto: nessuna faccia nuova, i debutti sono arrivati tutti in coda al match perché questo non è un gruppo che ha bisogno di essere stravolto. Sottil invece non è riuscito a santificare la sua prima panchina in A: evidente il divario tecnico, e ci sta, ma pasticci brutti come sul terzo e quarto gol rossonero è meglio che non si vedano più.

    LE SCELTE— Pioli ha confermato le sensazioni di vigilia: spazio al tuttologo Krunic accanto a Tonali, Messias preferito a Saelemaekers e Diaz dietro Rebic, con Giroud reduce da un affaticamento dirottato in panchina. Sottil ha potuto contare sul rientro di Becao in difesa, okay anche Walace al centro della mediana, affiancato da Pereyra e Makengo, con Soppy e Masina in fascia. Attacco affidato all’ex Deulofeu e Success, con Beto sulla strada del pieno recupero pronto a subentrare. Sono bastati una novantina di secondi per accendere il match e tirare un cazzotto a freddo al Meazza: angolo di Deulofeu e testa vincente di Becao (esatto, ancora lui: tre dei cinque gol in A del brasiliano sono arrivati col Milan), con la gentile collaborazione di Rebic e Leao, svagati nell’osservare il movimento dell’avversario. Una secchiata d’acqua gelida dalla quale il Milan si è liberato in meno di un quarto d’ora, confermando la maturità di una squadra che non finisce più – ormai da tempo – sott’acqua quando le cose si mettono male. Il pareggio è arrivato su un rigore (ma ci saranno svariate discussioni) di Hernandez propiziato dall’incursione di un incontenibile Calabria, che ha floppato l’appoggio a porta spalancata e si è poi scontrato pesantemente con Soppy: revisione di Marinelli al monitor Var e penalty concesso. Sottolineatura tattica: all’ultimo atto dell’azione, al netto del rigore, c’è arrivato un terzino.

    NOVITÀ— E’ questo il Milan di Pioli (lutto al braccio per Villiam Vecchi), che ha poi sferrato un altro calcione ai friulani al 15’, al termine di un’azione molto bella – l’ennesima di questa estate – innescata da Diaz, sviluppata da Calabria e rifinita da Rebic a centro area. Denominatore comune dell’uno-due rossonero: Diaz, che ha cucito sapientemente entrambe le azioni. Nota a margine: il Diavolo è stato pericoloso soprattutto a destra, ed è una novità che non passa inosservata. Un Milan lungamente pioliano anche dopo, con le consuete linee guida: aggressione alta, ritmi intensi, tanti giocatori portati in fase offensiva oltre la linea del pallone. Oltre alla tecnica individuale di diversi giocatori, ovviamente. Tutte cose che hanno costretto l’Udinese a rintanarsi, sì, ma disordinatamente, senza avere la possibilità di organizzare un vero contrattacco. Soppy ha provato a spingere ma ha sbattuto su Theo, Deulofeu ha cercato di inventare ma non ha trovato grande supporto nei compagni. E quando qualche rossonero ha combinato pasticci – anticipo a vuoto di Tomori -, qualcun altro è corso in aiuto: un recupero di Kalulu su Deulofeu lanciato in porta è valso quanto un gol. Quando nei primi 45 tutto pareva finito, però, l’Udinese ha rimesso in piedi la partita. Cross di Pereyra, altro colpo di testa vincente. Stavolta di Masina. Sogni d’oro per Messias, che a un certo punto ha mollato completamente la marcatura. Due gol presi dal Milan entrambi a difesa schierata: non benissimo.

    CHE REGALI— Pochi secondi dopo l’inizio della ripresa l’Udinese ha deciso di partecipare alla galleria degli orrori difensivi. Lungo cross avvolgente di Hernandez, Nehuen Perez salta goffamente a vuoto, la palla rimbalza altrettanto goffamente su Masina e termina sui piedi di Diaz, quasi incredulo. Grazie, e appoggio in rete facile facile. Diavolo di nuovo avanti, ma rispetto al primo tempo i bianconeri hanno messo fuori la testa con più coraggio e dinamismo. Pereyra e Makengo hanno alzato i giri e il match è diventato più equilibrato, anche se Maignan non ha corso rischi concreti. Un equilibrio che si è definitivamente spezzato al minuto numero 23, quando il Milan ha trovato il quarto gol. Cioè, se lo è proprio andato a prendere, con Messias e Diaz che sono andati a pressare Pereyra a ridosso dell’area friulana mordendolo fino a quando non ha perso palla. A quel punto è diventato tutto facile: appoggio di Diaz e secondo centro personale di Rebic. Un gol cercato e voluto con cattiveria. Questo, sì, un gran bel segno. Altro da segnalare? Una maestosa azione personale di Leao (alto di un soffio) e soprattutto il debutto di Origi e del principino Charles: minuto 26, fuori Diaz e dentro De Ketelaere, oltre a Giroud per Rebic. Il biondo si è mosso bene, aiutato certamente da una gara ormai in discesa, ma comunque con personalità. CDK va anche in gol, ma era tutto fermo già da qualche secondo per fuorigioco. Non c’è fretta, come battesimo è già stata una bella festa così.
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    Monza-Torino 1-2, i gol di Miranchuk e Sanabria rovinano la prima in A dei brianzoli

    Il russo festeggia l'esordio in granata con un bel gol, il centravanti di Juric chiude i conti nella ripresa. Inutile la rete di Dany Mota all'ultima azione
    dal nostro inviato Mario Pagliara

    13 agosto - MONZA
    E’ dolce, anzi dolcissima, la notte monzese del Toro. E’ illuminato dal talento di Radonjic, trascinato dalla classe di Ricci, spinto dai gol di Miranchuk e Sanabria: i granata partono subito forte in campionato con una meritata vittoria per due a uno, rovinando la festa del Monza nel sabato della sua prima volta in Serie A. Juric presenta una squadra che interpreta in maniera impeccabile le difficoltà della serata e il tipo di partita: Toro solido e pericoloso, pratico e che non va mai in affanno. Il gol del Monza di Mota Carvalho arriva allo scadere.

    E' SUBITO MIRANCHUK—
    Era stato profetico, Ivan Juric, nella vigilia di questo debutto in campionato. “Che problema ci sarà se pure butterò dentro Miranchuk dall’inizio? – aveva commentato il tecnico anticipando un tassello della formazione -, lui conosce già i concetti del nostro calcio venendo da due anni col Gasp”. Ci sarà tutto il tempo per affinarne l’inserimento nei meccanismi del Toro, però a due minuti dall’intervallo Miranchuk conferma il teorema-Juric. Prima volta in maglia granata, e subito in gol grazie a un morbido tocco di sinistro, dopo l’assist di Sanabria innescato da Radonjic. Il Monza gioca la sua prima partita in Serie A sotto gli occhi di Silvio Berlusconi: non sfigura affatto, poca emozione e tanta concretezza. Prova pure ad arginare un Toro che ha più fame, più qualità ed è più rodato. A proposito di Radonjic è necessario aprire una parentesi: nel primo tempo il serbo è l’uomo in più. Accelerazioni come se fosse alla playstation, colpi di esterno, cross: molto parte da lui, quasi tutto finisce con lui. Come al 5’ quando inventa l’assist per Sanabria, che sotto porta incredibilmente stecca. Due minuti prima il paraguaiano assistito da un passaggio no-look di Ricci si era fatto bloccare da Di Gregorio in uscita. Al ventesimo Milinkovic è incerto sul tiro dalla distanza di Ranocchia, sei minuti più tardi lungo l’asse Miranchuk-Radonjic nasce il diagonale del serbo. Serve un super Di Gregorio. A due minuti dall’intervallo il colpo di coda di Miranchuk: non segnava in Serie A dal 28 febbraio in Atalanta-Sampdoria.

    SANABRIA IN VOLO— Non giocava da tanto, Miranchuk, e allora ad inizio ripresa Juric riparte con Vlasic al suo posto. Staffetta tra ultimi arrivati in casa Toro. Dopo l’ora di gioco, Stroppa getta nella mischia Carboni (per Carlos Augusto), Ciurria (per Caprari) e Dani Mota (per Ranocchia). Raccoglie gli applausi di tutto lo stadio lo striscione esposto dalla curva del Monza “Gigi Radice, la tua partita”, in ricordo del tecnico che partì da Monza e che vinse lo scudetto con il Torino nel 1976. Finiti gli applausi, il Toro raddoppia e ipoteca la prima vittoria del campionato: Radonjic va in percussione nell’area brianzola, Carboni svirgola, Ricci raccoglie e firma un assist per Sanabria che arriva in volo e segna con una mezza rovesciata. Nel finale il Toro controlla, il Monza ci prova, qualche pericolo dalle parti di Milinkovic mentre Radonjic sfiora più volte il tris. Allo scadere Milinkovic sbaglia i tempi e Mota Carvalho fa 2-1. I primi tre punti della stagione li portano a casa i granata.
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    Di Maria-Vlahovic assist e gol. Juve, tutto facile col Sassuolo

    Dopo una partenza sofferta, i bianconeri dilagano: l'argentino va a segno dopo 26 minuti, il serbo firma una doppietta: rigore al 43' e raddoppio al 51' su assist del Fideo
    Fabiana Della Valle

    15 agosto - MILANO
    L’Allianz Stadium è quasi pieno (38 mila spettatori) e la Juventus fa bene il suo dovere: le nubi di una settimana fa, provocate dalla brutta sconfitta in amichevole con l’Atletico Madrid, si sono dissolte all’improvviso grazie alla nuova coppia bianconera. Dusan Vlahovic e Angel Di Maria timbrano il 3-0 nel debutto contro il Sassuolo e grazie ai suoi tenori Madama tiene testa a Milan, Inter, Roma, Napoli, Atalanta e Lazio, tutte vittoriose alla prima di A. Una Juventus che ancora non è bella però ha ricominciato a essere cinica, come certificano i 3 gol realizzati con 4 tiri in porta. Curiosità: è la prima volta dal suo ritorno a Torino che Allegri vince con 3 reti di scarto.

    FIDEO, DEBUTTO COL CUORE —
    Fino al 22’ la Juventus non aveva fatto un tiro in porta, poi le bastano altri 21 minuti per chiudere la contesa, con una prodezza di Di Maria e un rigore procurato e trasformato da Vlahovic. Prima i bianconeri non avevano incantato: troppo statici e poco movimento senza palla, nessuno a parte Di Maria che va a prendersi il pallone sulla corsa. Allegri parte con un abbottonato 4-4-2, con McKennie esterno a sinistra e Cuadrado a destra, ma passa presto al 4-3-3, spostando il colombiano a sinistra e arretrando McKennie sulla linea dei centrocampisti. Pochi minuti dopo arriva il vantaggio: bel cross di Alex Sandro, stavolta bravo a non far pentire Allegri di averlo preferito a De Sciglio, e aggancio perfetto del nuovo acquisto argentino, che festeggia con il classico cuore. La Signora passa nel momento migliore del Sassuolo, che dopo un inizio soft aveva preso coraggio.

    IL RUGGITO DI DV9 — Senza Raspadori e Pinamonti, tutti e due in panchina, l’azione più pericolosa la confeziona la coppia Berardi-Defrel. Pochi minuti dopo il numero 92 neroverde impegna ancora Perin. Il vantaggio bianconero ha il potere di sbloccare gli Allegri boys. Vlahovic vanifica due buone occasioni per il raddoppio ma poi si fa perdonare con il 2-0: ancora una bella apertura di Alex Sandro (uno dei migliori) che lo lancia verso la porta. Nel corpo a corpo con Ferrari il serbo finisce a terra: stavolta anche l’arbitro non ha dubbi, al contrario di quanto era accaduto a una ventina di secondi dall’inizio dell’incontro, quando aveva lasciato correre su un contatto dubbio tra Muldur (costretto a uscire poco dopo per un problema fisico) e Alex Sandro, e indica il dischetto. Vlahovic s’impossessa del pallone e non sbaglia: sinistro secco e vincente per il primo centro della nuova stagione (e per il primo rigore calciato in maglia bianconera).

    DOPPIETTA E CINISMO— Nella ripresa Dionisi si gioca la carta Raspadori e il Sassuolo è subito pericoloso con Herique. Però passa ancora la Juventus, perché Di Maria approfitta di un pallone perso da Ayhan per servire a Vlahovic un altro cioccolatino: finta e assist delizioso del Fideo e timbro di destro del centravanti serbo. Quando sbagli la Juve non perdona. La doppietta fa bene a DV9, che nel finale sfiora anche il terzo gol. C’è spazio per l’esordio di Kostic e anche per l’inserimento dei giovani Miretti e Fagioli: la squadra di Max è in totale controllo e nonostante il largo vantaggio non concede più di un tiro agli avversari. Il Sassuolo ha provato a mettere sotto la Juventus nella fase centrale del primo tempo, ma alla lunga non ha retto, condizionato dall’assenza di Maxime Lopez (squalificato) e dalle tante problematiche legate al mercato. La festa dei bianconeri invece è velata dalla preoccupazione per le condizioni di Di Maria, uscito per un problema alla coscia sinistra: sarebbe un peccato se Allegri dovesse rinunciare subito al suo Angelo custode.
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    Napoli, è subito show: cinquina al Verona, brilla la stella di Kvaratskhelia

    Hellas in vantaggio con Lasagna, poi il ribaltone col georgiano e Osimhen. Pari di Henry, quindi gli azzurri dilagano: a segno Zielinski, Lobotka e Politano
    Dal nostro inviato Fabio Licari

    15 agosto - VERONA
    Forse è come dice Spalletti: la gente potrebbe innamorarsi di questo Napoli. Se continua così il gioco è fatto. D’accordo, non ci sarà sempre un Verona così indifeso, il calcio d’agosto può illudere, la strada è lunga, ma l’impressione regalata da questo 5-2 al pronti-via è un avviso al campionato: il Napoli c’è, equilibrato, compatto, scaltro, potente, con fasce d’attacco che sanno essere devastanti, Osimhen che può soltanto crescere e Lobotka sempre più padrone del gioco.

    Lozano e il nuovo Kvaratskhelia sono stati la chiave per scardinare un Verona chiuso dietro, incapace di impostare dal basso, costretto a lancioni lunghi e poco sicuro dietro, eppure in partita fino al 2-2 di inizio secondo tempo. Perché? Semplice. Il Napoli aveva sbagliato troppo sottoporta – particolare sul quale Spalletti dovrà lavorare – e gli automatismi in difesa non erano stati perfetti, malgrado il bel debutto di Kim. Poi, però, s’è scatenata la tempesta, tre gol, uno annullato, altri sfiorati, mentre i cambi finivano con indebolire il Verona. Se il Napoli qui non s’è accorto che Koulibaly, Mertens e Insigne non ci sono più, Cioffi deve fare i conti con le assenze terribili di Simeone, Caprari, Casale e con Barak a mezzo servizio. Malissimo la sua “prima”.

    POSSESSO TOTALE— Impressionante la superiorità del Napoli nel primo tempo: un possesso dell’80 per cento non è da tutti i giorni. Ma in quanto a precisione lasciamo perdere. Il Verona non riesce a impostare e deve affidarsi ai lancioni per Lasagna ed Henry, molto lontani dal resto della squadra. La difesa del Napoli chiude senza problemi: Kim sembra esaltarsi nel confronto fisico. Eppure, è proprio il Verona a portarsi in vantaggio quasi alla mezzora, nell’unica azione d’attacco, poco dopo il cooling break. Quasi il Napoli fosse ancora a dissetarsi. Hongla va al tiro da venti metri e Meret devia in angolo: sul cross dalla bandierina, la deviazione di testa di Gunter è un assist perfetto per Lasagna che al volo non sbaglia, 1-0. Spalletti non ci crede. D’altra parte, il controllo ossessivo della palla ha portato soltanto un tiro di porta, di Zielinski, mentre tutte le altre occasioni sono finite al lato o alte, soprattutto quella di Osimhen che sbaglia l’incredibile sottoporta.

    GOL IN FOTOCOPIA— La rete di Lasagna è però una scossa per il Napoli che riprende a creare gioco e al 37’ trova il pari con Kvaratskhelia: schiacciata di testa prepotente sul cross di Lozano da destra. Bel giocatore il georgiano, “ignorante” in senso buono, fisico e tecnico. Quindi, nel recupero, azione fotocopia del vantaggio del Verona, ma l’angolo lo batte il Napoli, il ruolo di torre lo interpreta Di Lorenzo e Osimhen, in anticipo su Faraoni, è implacabile: adesso è 2-1. L’esultanza del nigeriano è irridente per i tifosi di casa che si scatenano in cori contro il centravanti. Forse c’è stato qualche maledetto “buu” prima. Neanche l’applauso in comune, da brividi, per ricordare Claudio Garella, protagonista con le due maglie, ha ravvicinato tifoserie che non si amano.

    SCATENATO — Emozioni che non si esauriscono neanche a inizio secondo tempo. Al 3’ Henry illude il Verona, schiacciando di testa il temporaneo 2-2 su assist di Faraoni. Ma è l’ultimo sussulto. È’ il Napoli a prendere definitivamente il sopravvento. Poco dopo, al 10’, su contropiede, Kvaratskhelia lancia Zielinski inseguito invano da Hongla: 3-2. Al 20’ è Lobotka, ancora una volta indispensabile al centro del gioco, a premiarsi con un gran gol in discesa solitaria, tra una difesa di birilli e appoggio imparabile per Montipò: 4-2. Al 34’ il portiere del Verona deve inchinarsi anche alla botta precisa di Politano, appena entrato, 5-2. Di occasioni ce ne sarebbero altre, Ounas entrato da neanche dieci secondi infila il 6-2 su un altro contropiede ma il Var annulla. Il Verona ormai non c’è più.

    AL LAVORO— Per il Verona c’è molto da fare. Se è parsa azzardata la mossa di Cioffi di schierare il deb Amione su Lozano, imprendibile, è anche vero che da Ilic a Faraoni, da Tameze a Dawidowicz, nessuno è stato all’altezza. Non s’è visto niente del gioco di Tudor, pressione alta, organizzazione in fase di non possesso, cattiveria. Si salva Lasagna che per i compagni è un lusso. Il Napoli è uno spettacolo, è al sesto debutto vincente di fila in campionato e ora ospita il Monza per continuare la corsa, aspettando Dombelé e Raspadori.
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    La Roma spreca, ma gioca bene e vince: a Salerno ci pensa Cristante

    Un gol del centrocampista regala a Mou i primi tre punti, dopo che Zaniolo aveva mancato tre occasioni. Palo di Dybala
    dal nostro inviato Andrea Pugliese

    14 agosto - SALERNO
    Ogni anno la stessa storia. Deve partire dalle retrovie, poi è quello che gioca più di tutti o giù di lì. E stavolta anche qualcosa in più, perché oltre a giocare a sorpresa (al posto di Matic), Bryan Cristante ha regalato anche la prima vittoria ufficiale alla Roma di questa stagione. Suo il gol decisivo con cui i giallorossi hanno infatti superato per 1-0 una buona Salernitana (che ha anche chiuso con un possesso palla superiore ai giallorossi, 53%). E quando ti aspetti una magia dai Fab Four, ecco che arriva il gregario di lusso. E gli altri? Zaniolo è stato spesso pericoloso, ma ha sbagliato anche tanto. Dybala ha regalato alcune giocate, colpendo un palo, mentre Pellegrini ha cucito spesso il gioco. Unico neo, Abraham ancora lontano dai suoi standard.

    TRA ERRORI E GOL—
    Si inizia con un dolce ricordo comune, dedicato a Di Bartolomei: “Guidaci ancora Ago”, sui maxischermi dell’Arechi, dove Mourinho opta per il solo Dybala tra i nuovi in casa giallorossa, mentre Nicola si affida subito agli ultimi tre innesti: Bronn, Candreva e l’olandese Vilhena. Del resto, la Salernitana vuole provare a giocarsela e per un po’ anche ci riesce. Vilhena ha qualche buon colpo, Mazzocchi a sinistra spinge spesso e volentieri, e Coulibaly prova a dare ritmo, anche se è troppo falloso. Dall’altra parte, invece, la Roma costruisce tanto, ma ha la sfortuna di trovare uno Zaniolo poco preciso sotto porta. Nicolò gioca anche una partita discreta, lotta ovunque, fa valere fisico e strappi (soprattutto sull’azione del palo di Dybala), ma ha il torto di sbagliare un paio di gol e mezzo. Il primo proprio su errore di Coulbaly (tiraccio fuori), il secondo su lancio di Mancini (parata di spalla di Sepe) e il terzo su assist di Dybala, con un calcio frettoloso che finisce al lato della porta granata. In altre circostanze la Roma si ritroverebbe già con la partita in mano ed invece deve faticare oltremodo, proprio per gli errori sotto porta. A sbloccare la partita allora ci pensa Cristante con un tiro da fuori dove la deviazione di Gyomber inganna Sepe. Una volta in vantaggio, la Roma gioca con meno frenesia e più tranquillità e trova anche l’occasione per il raddoppio proprio sugli sviluppi di un’azione stratosferica di Zaniolo, dove Dybala colpisce il palo e Abraham arriva molle per il tocco decisivo, ribattuto da Mazzocchi. A conti fatti il vantaggio a metà gara è anche giusto, seppur la Salernitana ci abbia messo voglia e intensità.

    GARA CONGELATA— Ed infatti nella ripresa la squadra di Nicola diventa anche più aggressiva e dopo 8’ si gioca anche la carta Ribery, passando di fatto al 3-4-1-2 e aumentando il suo potenziale offensivo. La maggior spinta offensiva della squadra di casa permette però alla Roma di avere spazi per andare e far male. Così prima Dybala ha la palla del 2-0 (tiro ad incrociare fuori), poi Abraham sbaglia la giocata decisiva. Zaniolo continua la sua battaglia personale, sfiorando il gol da lontano e intestardendosi in un paio di occasioni. Nicola allora manda dentro Valencia e Sambia, Mourinho risponde con Matic per Abraham, creando una diga di centrocampo con il serbo e Cristante e mandando Dybala a fare la prima punta (con Pellegrini più alto, vicino a Zaniolo). Poi entra anche Wijnaldum, con i giallorossi che passano al 3-5-2. Mou di fatto butta dentro tutta l’esperienza che ha per congelare una partita in cui gli ultimi minuti sono soprattutto in mano ai granata. Al 41’ arriva anche il 2-0 su invenzione di Matic e assist di Dybala per Wijnaldum (ma l’argentino era in fuorigioco). Finisce così, con Karsdorp che si mangia un altro gol e Mou e Nicola a farsi i complimenti a vicenda.
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    bella vittoria.
    Per me il Monza a fine anno retrocederà
     
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    Buona partenza la nostra, 3-0 e Di Maria già rotto
     
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    Torino, manca solo il gol. Lazio, oltre a Immobile c'è poco


    I granata non concretizzano la superiorità del primo tempo, Milinkovic decisivo sul centravanti di Sarri nella ripresa
    dal nostro inviato Mario Pagliara

    20 agosto - TORINO
    Un punto a testa può dare soddisfazione sia al Toro sia alla Lazio. Fino all’ora di gioco i granata si sono fatti preferire sul piano del gioco, poi quando è iniziata a finire la benzina sono venuti fuori i biancocelesti. Che hanno avuto le migliori occasioni per portare a casa la partita: tre e tutte a distanza ravvicinata contro un super Vanja Milinkovic. E tutte sciupate in sequenza da Marusic, Immobile e Sergej Milinkovic.

    PALLEGGIO GRANATA—
    Quando si arriva a metà del primo tempo c’è un dato offerto dalle statistiche che colpisce l’occhio: è il possesso di palla del Toro di Juric sopra al 65%, scenderà al 55% all’intervallo. La sostanza cambia poco, riflette una tendenza: nel primo tempo si sono visti da una parte un Toro che ha provato a palleggiare e a colpire in verticale con la solita e accentuata pressione alta delle squadre di Juric; dall’altra una Lazio che ha avuto ben pochi cromosomi del gioco di Maurizio Sarri, per larghi tratta statica e più preoccupata a controllare a vista Singo e Aina sulle fasce, Vlasic e Radonjic sulla trequarti. A proposito, come era preventivabile Juric riequilibra il suo attacco contro una difesa a quattro posizionando il trequartista al centro (Vlasic, al debutto dal primo minuto, e non Lukic in panchina) con Radonjic largo sulla sinistra in linea con Sanabria. Buon Toro, dunque, in avvio. Il primo pericolo è dei granata portato da Sanabria dopo 9’: diagonale di poco fuori. Provedel esce due volte a farfalle (al 4’ e al 23’) ma i granata non ne approfittano. Al 24’ invece Marusic coglie la doppia leggerezza difensiva di Djidji (troppo spazio a Zaccagni, è suo l’assist) e Singo che si perde del tutto Marusic. Milinkovic mantiene il sangue freddo ed evita la beffa. Nel finale di primo tempo, l’inerzia del match si riequilibra: Buongiorno anticipa ovunque Immobile, Radonjic non trova lo spunto. Si va sullo 0-0 all’intervallo.

    CRESCITA LAZIO— Nella ripresa il Toro parte pure bene, stazionando nel quarto d’ora di avvio nella metà campo laziale. Ma poi, piano piano, la stanchezza comincia a farsi sentire (soprattutto in Linetty e Singo) e la Lazio, aiutata dall’innesto di Basic e Marcos Antonio che portano forze fresche, comincia a crescere guadagnando campo. Nel cuore della ripresa c’è il momento migliore della squadra di Sarri: Immobile si ritrova due volte in buona posizione ma prima una bella chiusura di Milinkovic (10’) poi le gambe di Djidji (18’) non gli permettono di trovare la gloria. L’unico errore della gara di Buongiorno serve un assist involontario a Sergej Milinkovic (21’): nasce il duello tra fratello, con il portiere del Toro Vanja che ha la meglio salvando in angolo. A un quarto d’ora dalla fine, Juric lancia nella mischia Lazaro, Pellegri e Lukic e il Toro ne beneficia recuperando un po’ di energie. Ma non succede molto altro e si finisce senza gol.
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    La follia di Perez frena l'Udinese, la Salernitana non ne approfitta

    A Udine finisce senza reti il match tra bianconeri e campani. Espulso l'argentino a fine primo tempo, la squadra di Nicola non riesce a sfruttare la superiorità numerica
    20 agosto - MILANO

    Pareggio a reti bianche, ma con tante emozioni. L'Udinese viene salvata da un super Silvestri che chiude la porta dei friulani dagli assedi della Salernitana. Dopo pochi minuti la Var toglie un calcio di rigore ai padroni di casa, che restano in inferiorità numerica a fine primo tempo per un fallo di frustrazione di Perez su Mazzocchi.

    Nella ripresa la squadra di Nicola ha molte occasioni con Bonazzoli e Candreva, ma Silvestri nega sempre la gioia del gol agli avversari. Il risultato tiene fino al fischio finale.
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    Gara soporifera, ravvivata nel finale.
    Noi meglio di loro fino a quell'occasione di Immobile.
    Juric sta facendo miracoli con questa squadra di scarponi. Se impara a diventare un po' più paraculo può andare in qualche grande squadra (vedi Simone Inzaghi)
     
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    Che bella la prima Inter di San Siro: Lukaku ispira Lautaro, tris show allo Spezia

    L'argentino sblocca la partita dopo 35 minuti, poi Calhanoglu e Correa liquidano gli ospiti, mai in partita: nerazzurri a punteggio pieno davanti a 71mila tifosi

    Filippo Conticello

    20 agosto - MILANO
    Nella partita del ritorno di Lukaku davanti al suo popolo, l'Inter ricorda a tutti che in questo casato adesso i sovrani sono due: contro il povero Spezia si riconnette per davvero la Lu-La ed è Lautaro, l'altro re del San Siro nerazzurro, ad aprire la partita su assist del gemello belga. Nel secondo tempo Calhanoglu e Correa condiscono il punteggio, ma il 3-0 sta stretto, strettissimo ai nerazzurri, sul velluto per tutta la sera. Dimenticati i balbettii di Lecce, Inzaghi ritrova una squadra potente e con mille frecce: davanti gli attaccanti (sia i titolari che le riserve) dettano legge e dietro Handa per 90' non si sporca neanche i guanti: i liguri ci mettono del loro, sia chiaro, ma il messaggio di Simone al campionato è chiarissimo.

    PRIMO TEMPO— All'inizio Inzaghi scioglie l'enigma a sinistra, puntando su Dimarco, il più in palla di tutti i mancini, e per il resto si affida alla formazione standard, concedendo i primi minuti da titolare del campionato a Dumfries e Dimarco. Da parte sua, il 3-5-1-1 di Gotti è troppo tenero per i nerazzurri che avanzano a ondate: Agudelo dietro a Nzola soffre di solitudine e la difesa si schiaccia costantemente, un po' alla volta fino a ridursi all'area di rigore. Al povero Nikolaou il compito di fare a botte col figliol prodigo belga: i difensori di Serie A un po' alla volta stanno scoprendo quanto sia un mestiere usurante marcare Lukaku. Ma, in realtà, è tutta l'Inter a essere aggressiva e altissima: De Vrij, il più arretrato di tutta la compagnia, nella media dei primi 45' sta addirittura all'altezza del centrocampo. Dallo sfondamento sugli esterni, soprattutto a destra con Dumfries, piove una grandinata di occasioni, spesso non sfruttate. Ma a rubare gli occhi sono quei due là davanti che si cercano con la stessa insistenza di un tempo: la Lu-La è alta sul cielo da San Siro, come se una metà non se ne fosse mai andata via. E così, inevitabilmente, il gol che spezza la gara non poteva che arrivare da una combinazione della coppia reale: Lukaku l'aggiusta e Lautaro con una magnifica conclusione mancina a pelo d'erba batte Dragowski. Da altre combinazioni dentro l'area, sempre con l'aiuto del martello olandese, nascono altre possibilità: il solo Toro potrebbe farne un altro paio. Mentre l'urlo di Romelu si spezza in gola quando colpisce la traversa con una testata dopo cross tagliente di Bastoni: ennesima prova di uno strapotere fisico a volte imbarazzante del numero 90.

    LA RIPRESA— Nella ripresa il timido Spezia non fa niente per uscire dal guscio: la sensazione di essersi consegnati mani e piedi alla squadra più forte è evidente. Anche quando Gotti alza il baricentro e porta su la palla, gli esterni Gyasi e Reca non producono pericoli. Inzaghi, invece, si diverte con i suo i cambi di campo, da una fascia all'altra la palla trasmigra come viaggiasse su dei caccia. Lo sfondamento centrale, invece, è sempre compito dell'ariete ex Chelsea: Lukaku si vede spesso per la caparbietà nel tenere e smistare la palla. Non a caso da una sua azione cocciuta la palla arriva sul piede di Calhanoglu per il secondo gol di giornata, un destro più preciso che potente. La ricerca del primo gol di Romelu sotto la Nord finisce a vuoto perché qualche contropiede non viene sfruttato come si dovrebbe e al 65esimo Inzaghi lo toglie per dare spazio a Dzeko. E se pure il bosniaco ha avuto le sue occasioni per segnare, alla fine alla festa finisce per partecipare il quarto attaccante della rosa: il gol del 3-0 lo segna l'altro argentino, Correa, entrato al posto di Lautaro. Senza Dragowski per Gotti sarebbe stata una grandinata molto peggiore, ma la potenza offensiva dell'Inter è tremenda. E non solo perché la Lu-La si è finalmente ricomposta davvero.
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    Berardi, che meraviglia! Il Sassuolo si sblocca, il Lecce resta giù

    Arrivano i primi tre punti per la squadra di Dionisi, dopo il ko di Torino contro la Juventus. Il numero dieci neroverde decide la gara con un gol capolavoro. Ancora ferma a zero punti la squadra pugliese
    Francesco Calvi

    20 agosto - MILANO
    Un capolavoro di Mimmo Berardi regala i primi tre punti della stagione al Sassuolo. In campo contro il Lecce nell’anticipo della seconda giornata, i neroverdi conquistano una vittoria di misura (1-0) grazie alla splendida volée del loro capitano. In attesa di trovare una quadra che consenta ai nuovi arrivati di esprimersi al top, Dionisi punta tutto sulle giocate del suo numero 10. La fiducia è stata ripagata con un gol decisivo, il miglior modo per festeggiare il rinnovo di contratto fino al 2027.

    LE FORMAZIONI— Mentre aspetta l’arrivo di Pongracic e (probabilmente) Umtiti, Baroni conferma l’undici titolare che aveva sfidato l’Inter nella gara d’esordio. Baschirotto e Blin sono adattati al centro della difesa, Strefezza, Ceesay e Di Francesco partono dal 1’ in avanti. Dionisi opta invece per un 4-3-3, con Henrique schierato al fianco di Lopez e Frattesi. Kyriakopoulos gioca alto a sinistra, completando il tridente con Berardi e Pinamonti.

    SUPER MIMMO— Nel primo quarto d’ora, il Lecce gestisce la partita: Hjulmand interrompe con successo le ripartenze degli avversari, Strefezza e Di Francesco spingono sulle fasce. L’ex attaccante dell’Empoli cerca il gol dalla distanza, Berardi lo imita al 20’ con un mancino che finisce di poco al lato. Passano i minuti, però, e il Sassuolo trova sempre più fiducia. Il Lecce spreca con Ceesay e, al 40’, subisce l’1-0. Sugli sviluppi di un corner, concesso dopo un tiro parato a Kyriakopoulos, Berardi si coordina alla perfezione e calcia al volo con il mancino. Il tiro del numero 10, imprendibile per Falcone, finisce dritto nell’angolino basso.

    NELLA RIPRESA— Subito dopo l’intervallo, Baroni inserisce Banda al posto di Di Francesco, per provare a portare più uomini nell’area di rigore avversaria. Il Sassuolo amministra il vantaggio concedendo poco, a ridosso del 60’ Gonzalez manca l’appuntamento con il pareggio. Dionisi si affida a Defrel e Thorsvedt sperando di trovare il raddoppio, ma l’unico tiro dei suoi, all’86’, lo prova ancora Berardi dalla distanza.
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    È Kvaratskhelia show: doppietta da applausi. E il Napoli travolge 4-0 il Monza

    Il georgiano impressione anche nel debutto stagionale casalingo di Spalletti, in gol anche Osimhen e Kim nel recupero. Annullata una rete all’ex Petagna

    Maurizio Nicita

    21 agosto - NAPOLI
    Uno spettacolo, in tutti i sensi. Il Maradona pieno di entusiasmo, una squadra che pratica un bel calcio, giocatori che inventano giocate strepitose e il povero Monza che prova a resistere, a tratti lo fa anche bene, ma non riesce ad arginare questo Napoli trascinante. Una squadra capace di mettere KO l’avversario. Dove non parliamo di Knock Out ma di Kvaratskhelia-Osimhen. La loro sequenza di gol è la stessa di Verona. E un po’ come nella prima gara, anzi con maggiore efficacia,il Napoli lavora ai fianchi l’avversario, lo stanca, lo illude e poi lo mette Ko con due grandi colpi. E nella ripresa ancora il fattore K, con ancora il georgiano in rete e nel finale pure il coreano di Kim. L’entusiasmo dei tifosi è anche giustificato dal fatto che fra gli spettatori, seppure in panchina, ci sono Ndombele, Raspadori e Simeone. Tutta gente che può migliorare ancora un Napoli già bello e divertente.

    QUARTO D’ORA DA FAVOLA — Stroppa perde al mattino pure Pablo Marì per un risentimento muscolare e schiera l’esperto Andrea Ranocchia in una difesa che già deve fare a meno di Carlos Augusto. Spalletti invece riconferma i titolari di Verona, con il trio arrivato in settimana nel mercato in panchina. Il primo quarto d’ora degli azzurri è esaltante, con la gente - quasi 40 mila spettatori - a trasmettere adrenalina ai protagonisti in campo. Subito sfiorano il gol Lozano, Kim (ti testa su angolo), Osimhen due volte e Anguissa. Il gol non arriva e allora saggiamente il Napoli prende fiato e cerca di ragionare come aggirare i brianzoli, comunque messi bene in campo da Stroppa. Comincia a salire Sensi, il più lucido in mezzo, e al 22’ Filippo Ranocchia effettua il primo tiro, centrale, giusto per rendersi conto che c’è pure Meret in campo. E proprio quando il Monza sembra tranquillizzarsi ecco il primo gancio. Con Kvaratskhelia che va prendersi un pallone in zona morta, rientra in campo e lascia partire un destro da paura che va nell’angolino alto dove Di Gregorio non può mai arrivare. Passano due minuti e triangolazione a velocità supersonica fra il georgiano e Osimhen che spara alto. Ma il gol del nigeriano arriva nel recupero, con i mediani del Napoli che escono il maniera deliziosa dalla prima pressione monzese e Anguissa che lancia sulla corsa Osimhen che entra in area e spacca la porta.

    KVARADONA — Nella ripresa il tema tattico non cambia, anzi l’infortunio di Ranocchia complica la situazione per Stroppa. E proprio il sostituto Antov fa la figura del palettò dello slalom con Kvaratskhelia che lo mette a sedere fintando il tiro di sinistro per rientrare e segnare di destro. Incredibile questo avvio del georgiano: tre gol in due gare, di testa, sinistro e destro. Davvero completo questo giocatore. E mentre il Maradona festeggia, Petagna riesce pure a segnare inzuccando da angolo, ma al Var è netta la spinta con la quale il centravanti, ex di turno, sbilancia Rrahmani. Gol annullato e così il Napoli riesce a concludere con la porta imbattuta e Meret che nel finale deve allungarsi nell’unica vera parata, su fuoco amico (di Zerbin). Poi l suggello di Kim, in terzo tempo di testa su perfetto angolo di Zielinski. Apoteosi.
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    L’Atalanta frena il Milan. Sorpresa Malinovskyi, rimedia Bennacer

    Il vantaggio nerazzurro del primo tempo scombina al Diavolo idee e convinzione, nella ripresa campioni d’Italia più cattivi. Ma la fase difensiva rossonera è ancora da rivedere
    dal nostro inviato Luca Bianchin

    21 agosto - BERGAMO
    Il primo scontro diretto della stagione? Mah, più che altro un libro di motivazione, un po’ arte della guerra, un po’ calcio zen. Atalanta-Milan finisce 1-1, con gol di Malinovskyi e Bennacer. Atalanta meglio nel primo tempo, Milan nel secondo. Le due giocate chiave però sono due dichiarazioni di Gasperini e Pioli: bastone e carota. Gasp alla vigilia critica Malinovskyi (“Credo sia giusto che l’Atalanta cerchi un giocatore che faccia più di 6 gol all’anno, che vada più in area”), poi lo manda in campo e Ruslan lo ripaga con il sinistro del vantaggio. Pioli invece, dopo un’estate passata a celebrare Bennacer come possibile sorpresa, riceve in regalo il mancino dell’1-1. Ah, l’altra chiave del cambio di faccia del Milan – all’altezza del triangolino sul petto solo dopo l’intervallo – sono i cambi. Il più sorprendente, Origi per Leao, con Rafa che esce tra il mogio e il contrariato.

    STRAPPO ATALANTA— La partita cambia due volte, la prima tra il minuto 23 e il 29. Episodi? Sì, episodi. Minuto 23: palla gol XL per Messias, dimenticato con colpa grave dalla difesa dell’Atalanta. Junior non vede Tonali a centro area e, comprensibilmente, calcia. Il problema è che calcia malissimo, fuori a porta aperta. Minuto 29: l’Atalanta ha una folata di vento e attacca. Tomori perde completamente Malinovskyi, che non attacca la porta ma gira a ricciolo verso il limite dell’area, trovato come si deve da Maehle. Sinistro forte, deviato leggermente da Kalulu, e gol.

    MILAN CON LA PANCA— La seconda svolta nel secondo tempo, quando Pioli cambia tutta la linea d’attacco, modello hockey, da Messias-Diaz-Leao-Rebic a Saelemaekers-De Ketelaere-Origi-Giroud. Le occasioni, non per caso, si moltiplicano dopo un primo tempo deludente, con la strana impressione di un Milan senza idee offensive che vadano oltre le improvvisazioni di Leao. Un paio di palle gol arrivano prima dei cambi. Dopo meno di 4 minuti Kalulu alza troppo la mira di testa – e si poteva fare molto di più – poi Leao ha 10 secondi di onnipotenza: rientra da sinistra e calcia col destro, fuori di niente con Musso osservante. Le altre chance, dopo le sostituzioni. Prima escono Diaz e Rebic, i migliori alla prima ma i peggiori alla seconda, per De Ketelaere e Giroud. Poi Leao e Messias per Origi e Saelemaekers. CDK impiega due minuti per mettere in porta Tonali: il tocco è super, meno il tiro del numero 8, respinto da Musso. Origi invece a 10 minuti dalla fine va vicino al sorpasso: gran giocata verticale di Theo Hernandez, dribbling del belga in area e salvataggio di Djimsiti pesante come il piombo. L’ultima vera, grande occasione di cambiare il tabellone.

    ALTI E BASSI— Alla fine, quindi, restano i bilanci. Il Milan perde due punti dall’Inter e dal Napoli e ci sta. Più importante, scopre la sua nuova dimensione 2022-23. Il mercato ha allungato le rotazioni, la gestione di titolari e cambi sarà fondamentale per innestare varianti nel gioco e trovare nuovi protagonisti sera dopo sera. L’Atalanta, a lungo più bassa del solito, invece esce dal Gewiss con più sicurezza: è ancora all’altezza delle grandi partite. Se poi Malinovskyi resterà oppure no, beh, questo va chiesto a Gasp (e a Conte, magari).
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