Claudio Lolli (Bologna, 28 marzo 1950 - 18 agosto 2018) è un cantautore, poeta, scrittore e professore liceale italiano. Considerato dagli addetti ai lavori e dalla critica come uno dei maestri del cantautorato italiano; l'impegno politico per una sinistra senza compromessi, sin dall'album d'esordio, diventa una caratteristica di tutta la sua opera. Riservato, complesso, innamorato spesso di atmosfere affliggenti, malinconiche e tristi ha inserito nella musica le motivazioni e le delusioni di un’epoca e di una generazione che si era illusa, forse con cognizione, di poter cambiare le sorti dell'umanità. Alterne vicende discografiche hanno contribuito a minarne la fama tra il grande pubblico e la conoscenza tra le nuove generazioni. È Francesco Guccini conosciuto proprio nella Bologna delle osterie, che lo porta alla EMI Italiana, che gli fa firmare un contratto e che pubblica i suoi primi 4 LP, dal 1972 al 1976: il primo disco, Aspettando Godot, è arrangiato da Marcello Minerbi, leader dei Los Marcellos Ferial, che si rifà per le sonorità allo stesso Guccini, a Fabrizio De André e, in alcune canzoni ("Quello che mi resta" o "Quanto amore") ai cantautori francesi.
Discografia:
* Aspettando Godot (1972)
* Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita
* Canzoni di rabbia
* Ho visto anche degli zingari felici
* Disoccupate le strade dai sogni (1977)
* Extranei
* Antipatici antipodi
* Claudio Lolli
* Nove pezzi facili (1992)
* Intermittenze del cuore (1997)
* Viaggio in Italia (1998)
* Dalla parte del torto (2000) - SDN 007
* La terra, la luna e l'abbondanza [live] (2002)
* Ho visto anche degli zingari felici [live] (4/2003)
IN PIEDI, PASSA CLAUDIO LOLLI, L’ANARCHICO DELLA CANZONE
E’ stato snobbato da tv, da critici e dal grande pubblico, ma siamo certi quell’anima anarchica si prenderà il posto che gli spetta nel cuore dei grandi ideali, delle parole che animano idee, speranze e il grande cuore di chi non si arrende per cambiare. E quanti hanno avuto fortuna e costanza di ascoltare le sue canzoni,o di conoscerlo, da oggi hanno un motivo in più per ricordarlo e ringrazialo.Il “grande freddo” è stata la sua ultima canzone testamento perchè lui – Claudio Lolli- ormai non si ritrovava più in un momento senza dialogo reale, tra parvenze social, del sembrare e apparire più che essere, senza ideali e con una galassia di ipocrisie tra gli adepti sulla strada dell’effimero e prezzolato successo della Maria nazionale, dei boy scout fiorentini rubagalline e dei sultani da olgettine. Claudio ci ha lasciati a 68 anni dopo una malattia che via via l’ha consumato. Abbiamo avuto fortuna e privilegio, con poche decine di fans della Prima Repubblica, di incontrarlo una serata a Brienza il 5 agosto 2011 per la rassegna Anni Ribelli-Le Notti al Castello – diretta da Raffaele Cascone – con i protagonisti di un periodo di fermento, difficile, conflittuale compreso tra il 1967 e il 1977. Ero con l’amico medico, divoratore di testi impegnati, e non solo musicali, Leonardo ”Dino” Trentadue di Ferrandina, che mi ha chiamato nella serata di un venerdì 17 agosto 2018 per chiedermi conferma della ferale – e purtroppo -vera notizia. Alla guida della vecchia e affidabile Fiat Tempra, con una musicassetta dei Nomadi ( Dino ha conosciuto a Ferrandina durante i concerti Augusto Daolio e Beppe Carletti) raggiungemmo il comune basentano e ci dirigemmo in piazzetta a ridosso del piccolo palco dove incontrammo Claudio, prima che cominciasse il concerto insieme ai suoi accompagnatori. Paolo Capodacqua e Nicola Alesini. Fu felice di farsi una chiacchierata con vecchi fans e Dino, con occhio clinico gli disse e gli consigliò di riguardarsi, mettendo da parte vecchi vizi e stili di vita. Un sorriso, come per dire “grazie ma tiro dritto” e poi una bella chiacchierata su canzoni, ideologie, prospettive e giudizi sull’Italia borghese…su quella ”borghesia” che Claudio indicò quasi scherzandoci sù e qualche pausa che ancora c’è …”pur piccina piccina che tu sia”. Reminiscenze sessantottesche? Amara realtà. Bevve un altro goccio incrociando lo sguardo severo, ma fraterno, di Dino e poi ci salutammo per l’avvio del concerto, mentre teneva in mano fogli di testi e di canzoni che si apprestò a leggere tra ricordi e sforzi di memoria. Il pubblico era quello dei fedelissimi e tra di di loro anche alcuni giovani, che con la rassegna Anni Ribelli avevano avuto modo -grazie all’intuizione di una intellighenzia locale da area di rifondazione- di ascoltare personaggi, gruppi e cantanti simbolo di quel decennio. Fatto di ”anni formidabil” per dirla con Mario Capanna, finito in altra dimensione… dopo l’esperienza di militanza proletaria. Per questo ricordiamo, per esempio alcuni versi del cantante bolognese Claudio Lolli come ” Collegato d’amore alle masse ,più cultura, più lotta di classe” tratto da ” Autobiografia Industriale”. Ma non possiamo dimenticare il long playing, o 33 giri, in puro vinile ” Aspettando Godot” con uno stralcio dell’omonimo brano ” Giorni e giorni a quei tavolini, gli amici e le donne vedevo vicini, io mi mangiavo le mani però, non mi muovevo e aspettavo Godot ” o la celeberrima ”Borghesia” con “Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sianon so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.Sei contenta se un ladro muore o se si arresta una puttanae la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana. Per finire al grande freddo che ci portiamo dentro , tra poche cose da dire e sentire a meno che non rincorrere gli ‘zingari felici”. Non aggiungiamo altro. E vi invitiamo a riascoltare se l’avete dimenticato o ad ascoltare per la prima volta il grande freddo o a rileggere la recensione http://giornalemio.it/cultura/e-tornato-lo...-grande-freddo/ pubblicata il 13 giugno 2017. Per un attimo ce lo siamo sentito accanto, con la sua “borghesia” piccina piccina. Ciao Claudio. Canta felice nella dimensione che hai sempre cercato e nonostante tu non abbia ritirato il premio Luigi Tenco. Ma forse pregustavi un duetto con lui, precursore incompreso che prima di te aveva vissuto il grande freddo.
FRANCO MARTINA — 17 AGOSTO 2018 da: giornalemio.it
E' vero che dalle finestre non riusciamo a vedere la luce perché la notte vince sempre sul giorno e la notte sangue non ne produce, è vero che la nostra aria diventa sempre più ragazzina e si fa correre dietro lungo le strade senza uscita, è vero che non riusciamo a parlare e che parliamo sempre troppo.
E' vero che sputiamo per terra quando vediamo passare un gobbo, un tredici o un ubriaco o quando non vogliamo incrinare il meraviglioso equilibrio di un'obesità senza fine, di una felicità senza peso. E' vero che non vogliamo pagare la colpa di non avere colpe e che preferiamo morire piuttosto che abbassare la faccia, è vero cerchiamo l'amore sempre nelle braccia sbagliate.
E' vero che non vogliamo cambiare il nostro inverno in estate, è vero che i poeti ci fanno paura perché i poeti accarezzano troppo le gobbe, amano l'odore delle armi e odiano la fine della giornata. Perché i poeti aprono sempre la loro finestra anche se noi diciamo che è una finestra sbagliata.
E' vero che non ci capiamo, che non parliamo mai in due la stessa lingua, e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero che abbiamo tanto da fare e non facciamo mai niente. E' vero che spesso la strada ci sembra un inferno e una voce in cui non riusciamo a stare insieme, dove non riconosciamo mai i nostri fratelli, è vero che beviamo il sangue dei nostri padri, che odiamo tutte le nostre donne e tutti i nostri amici.
Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra, ho visto anche degli zingari felici in Piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.
Ma ho visto anche degli zingari felici corrersi dietro, far l'amore e rotolarsi per terra, ho visto anche degli zingari felici in Piazza Maggiore ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.